Lettere al Direttore
5 Agosto 2015

Zadro: “I punti oscuri di Carife”

di Redazione | 3 min

Buio e silenzio per tre anni. Una ricapitalizzazione da 160 milioni alla quale i ferraresi hanno creduto ed aderito – autorizzata per legge dalla Banca di Italia – la quale Banca, subito dopo, dispone il commissariamento e invia tre commissari. Perché?

Ancora non abbiamo chiaro, perché chiarezza non è stata fatta fino in fondo e comunicata. Quali sono state le vere motivazioni del commissariamento e quale mandato ai commissari. Sappiamo però che il commissariamento avrebbe dovuto, dopo una accurata diagnosi, trovare la cura e cercare di metterla in pratica per “guarire il malato”.

Ad oggi, dopo tre ani, lo scenario vede personale ridotto di numero e dequalificato, tutti professionisti che hanno collaborato con i contratti di solidarietà, che necessitano di fiducia e stimoli nuovi per guardare oltre. Azioni che da 40 euro di valore sono passate a 20 centesimi e che, per i 28.000 azionisti che lì hanno messo i propri risparmi, corrispondono ad un incubo oltre che ad un furto.

Nessun piano industriale nuovo e di rilancio della banca, nessuna capacità di disfarsi dei rami di azienda improduttivi che avrebbero potuto alleggerire la banca e renderla più appetibile. Nessuna capacità di trovare papabili acquirenti. Ora interviene il Fondo Interbancario che di fatto esautora la Fondazione, diviene il maggiore azionista con alta voce in capitolo.

Tutto ciò, giustamente come si sta dicendo in questi giorni, nella inerzia da Ponzio Pilato della politica ferrarese e, aggiungo, regionale. E nella rassegnazione dei ferraresi, annichiliti nella iniziativa, nell’orgoglio, nella capacità di reazione e di elaborazione da più di mezzo secolo di relazioni e sistema politico sempre uguale a se stesso e sempre più aggressivo nel mantenere lo status quo. Qui i cambiamenti sono messi al bando.

Diversamente dall’insipienza ferrarese ed emiliano romagnola, altri territori illuminati, parlo del Triveneto – Veneto – Friuli Venezia Giulia – Trentino Alto Adige , si sono organizzati (è stato annunciato venerdì scorso) per implementare un sistema innovativo (proattivo anche al Governo Nazionale ed alla Banca d’Italia), che mette insieme le Banche di Credito Cooperativo, le Casse Rurali ecc, per far evolvere un sistema di banche radicate nelle proprie comunità e orgogliose della propria storia, in un sistema di banche locali autonome e competitive, organizzate in un moderno gruppo bancario.

Un modello capace di coniugare il valore e l’autonomia di un sistema di banche locali, espressione dei diversi territori, con il coordinamento e la capacità di indirizzo propri di una capogruppo bancaria.

Efficienza e competitività del sistema, riorganizzazione industriale, governo dei rischi e dei costi.

In questo nuovo scenario la Capogruppo assume il ruolo di supporto, coordinamento e direzione strategica delle banche associate che sono al tempo stesso socie di riferimento. Identità storico culturale, sono e rimangono un valore straordinario per l’Italia. Le banche del territorio rappresentano il motore economico e solidale a favore delle famiglie e delle piccole imprese.

Perché non si è fatta in Emilia Romagna ed altre regioni una operazione simile per dare fiato alle banche locali, innovandole con un moderno piano industriale ed un modello collaborativo e di coesione? Perché si è preferito lasciare morire un valore ed intervenire male in emergenza? Senza soluzioni e vie di scampo. Perché la politica e la stessa Banca d’Italia non ha lavorato in questo senso?

Questi sono altri punti oscuri che si sommano ai tanti che già ci sono.

Rossella Zadro
Coordinatrice provinciale Italia Unica

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