Cronaca
6 Luglio 2015
Dopo i tagli alle residenze anziani, il Cfad invia una lettera molto critica: "Preoccupati da scarsa lungimiranza"

Il “ruggito sussurrato” dei disabili contro la Sapigni

di Daniele Oppo | 5 min

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sedia a rotelle - carrozzina - disabiliUn “ruggito sussurrato”, ma  non uno sfogo, bensì “una presa di posizione, poiché dietro ad esso, si cela grande disperazione e frustrazione, di chi come noi associazioni e famigliari, dovremmo essere i vostri più fedeli alleati nell’assistere chi ha più bisogno, ci troviamo invece a combattere una guerra tra poveri, che fa crescere l’amarezza e la diffidenza, minando inevitabilmente quel rapporto di sussidiarietà che ci dovrebbe legare”.

È uno stralcio della lettera di forti critiche e proposte che il Comitato ferrarese area disabili (Cfad) ha inviato all’assessore comunale alla Sanità, Servizi alla Persone e Politiche della famiglia Chiara Sapigni. Il tema è la diminuzione delle risorse del Fondo regionale per la non-autosufficienza (Frna) nel Distretto centro-nord di 431mila euro, che ha comportato una limitazione dei “volumi di attività” per le Residenze Anziani del 7%. Tradotto, nel 2015 spariscono gli ormai noti 35 posti letto su 815 per l’area di Ferrara (parliamo dei posti a bassa complessità).

A preoccupare l’associazione dei disabili “non è il taglio in sé stesso, bensì ciò che ha portato ad esso”. Un concetto riassunto in due sole parole: “Scarsa lungimiranza”.

Nel dettaglio la lamentela è quella di “aver speso durante l’anno 2014 una cifra superiore agli anni precedenti, senza la certezza di poter poi garantire in futuro almeno lo stesso standard assistenziale”. “Da sempre – afferma il Cfad – anche durante i Piani di Zona, abbiamo lamentato la mancanza di una ‘visione d’insieme’ e di continuità circa la politica di welfare atta a dare risposte concrete e continuative alle persone più in difficoltà sul nostro territorio, nonché un supporto più che doveroso anche alle loro famiglie. Non sarebbe stato più razionale investirli in progetti che avessero la certezza di un seguito? – chiede l’associazione -. Valutare soluzioni alternative che potessero, in parte, auto-finanziarsi o provare a valutare meglio proposte provenienti dall’Associazionismo locale?”

La critica si fa ancora più penetrante quando viene affermato che “la parte quantitativa seppur esigua di quest’ultimo taglio, evidenzia solo maggiormente, quel che sono le vere lacune del nostro sistema socio-sanitario locale. Lacune strutturali ed organizzative, che quando ben radicate, non esiste finanziamento sufficiente a colmarle”.

L’associazione invita a “cominciare a capire che si tratta di persone e non solo di meri numeri all’interno di un bilancio economico” e osserva che “le soluzioni adottate risultino assai frequentemente poco incisive, poiché attuate più come soluzioni tampone, che non tengono conto delle reali caratteristiche delle persone assistite, delle quali spesso e nel migliore dei casi, ogni ufficio preposto conosce a malapena il proprio pezzetto, senza peraltro mai riuscire a creare una vera rete di sinergie assistenziali che facciano dialogare i vari servizi. Il disabile è disabile in ogni ambito, tutto il giorno, per tutti i giorni della sua esistenza, festivi compresi”.

“Lei come assessore – ammonisce il comitato – ha due possibili scelte davanti a sé, la prima mantenere lo status quo per quieto vivere fino alla fine del suo mandato, la seconda è fare la differenza, cercando un percorso partecipato e condiviso nel bene e nel male, ma sempre e solo a beneficio di chi ha più bisogno. Da parte nostra di scelte ne abbiamo una sola, perché il nostro mandato non scade mai”.

Ma il Cfad non pensa solo alle critiche, l’ultima parte della lettera è tutta dedicata alle proposte (sette) “frutto della nostra esperienza per dare un significativo contributo al dibattito”, nella speranza  “che vi sia un progetto condiviso, un modello che non sia irraggiungibile a cui aspirare, verso il quale far convergere tutti i nostri sforzi, sia pubblici che privati”.

Si parla allora di creare un “osservatorio delle buone prassi” esistenti a livello nazionale, secondo il principio “per cui è meglio copiare bene, piuttosto che intervenire male“. Ma anche di “creare un vero coordinamento”, multidisciplinare “e che possa realmente prendere in carico le persone” tra Comune, Ausl, Asp, Umv, Usp, Sil, Dsm e Terzo Settore, ora visto come “pezzi sparsi quanto separati di un puzzle”. Altra osservazione fondamentale del Comitato è che “per comunicare bisogna innanzitutto parlare la stessa lingua“, con la proposta di usare tutti il modello Bio-Psico-Sociale, indicato dall’Oms, “che pone l’accento sulle reali capacità delle persone, affinché si parta dalle loro esigenze per costruire delle risposte. In questo settore è la domanda a dover creare l’offerta e non viceversa”.

Una quarta proposta arriva anche per quanto riguarda l’accompagnamento degli assistiti minori verso la maggiore età: l’invito è a guardare, un’altra volta, ai modelli diversi da quelli provinciali in cui i disabili gravi non vengono abbandonati dalla neuropsichiatria infantile, “ma viene presa incarico anche dal Dipartimento di Salute Mentale, ed insieme sono in grado di supportare l’Asp nella gestione della persona con disabilità grave”. “Verificato che la scelta della provincia di Ferrara di lasciare come riferimento sanitario solo il medico di medicina generale si è rivelata inadeguata – osserva il Cfad – si possono ipotizzare soluzioni diverse?”.

E ancora, sempre in un’ottica di integrazione tra servizi, il comitato propone di inserire anche l’Asp nella definizione del programma educativo individualizzato “in modo da conoscere prima dello scadere dell’ultimo anno di scuola il proprio assistito”.

La sesta proposta è quella di promuovere a livello locale “una regolamentazione dell’agricoltura sociale perché venga portato all’attenzione della nostra Regione, così com’è successo in Veneto, affinché nascano maggiori realtà quali fattorie sociali, in grado di usufruire di adeguati finanziamenti previsti a tale scopo”. Sempre su tale tema verte anche l’ultimo suggerimento, quello di un maggiore dialogo con il Centro per l’impiego che “potrebbe portare a nuove opportunità per quei laboratori protetti che attualmente faticano a sopravvivere per mancanza di attività e al contempo aiutare alcune aziende che non riescono più a pagare il personale ma che magari esternalizzerebbero volentieri parte del proprio lavoro se adeguatamente sostenuti attraverso politiche specifiche”.

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