Du iu śpich frares?
24 Maggio 2015

Stupito e riconoscente

di Maurizio Musacchi | 9 min

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All, radìs, còjar l’àtim

Carissimi amici del Dialetto Ferrarese (maiuscolo per...amore). In questo spazio vi presento una mia poesia che ha vinto un doppio premio nel prestigioso Concorso Letterario “Bruno Pasini” – XVIII ^ Edizione - 2023 – “ÀLL, RADÌŚ... CÓJAR L'ÀTIM”

Omaggio a Nerio Poletti

Carissimi amici del Dialetto Ferrarese. Si è spento serenamente, in questi giorni, Nerio Poletti, classe 1930. (Ho letto la notizia sui social dalla nipote Vanna). Vecchio amico mio, ma soprattutto del dialetto ferrarese. Lo avevo incrociato diverse volte a Bondeno...

In viaggio sulle mura con un ipotetico figlio

Maurizio Musacchi mette in versi un viaggio sulle mura di Ferrara, con un ipotetico giovane figlio. Vorrebbe parlargli di una guerra che ho vissuto, da piccolo. Parlargli di tragedie, magari fargli capire e vedere quanto orrenda sia.

Il bambino, il nonno e “Gote di fragola”

Carissimi amici del mio blog, col quale parlo, scrivo, presento autori di Ferrara , il suo Dialetto e il suo Territorio. Oggi, con la benevolenza della Dirigenza di Estense.com, vi propongo ancora un mio racconto

Il tempo dei fenicotteri rosa e…

Cari lettori, ho ricevuto un prestigioso riconoscimento al 3° premio del Concorso Nazionale Laghese di Poesia e Narrativa 2023. Vi pubblico qui il racconto sperando vi piaccia. --- Mi guarda assorto il vecchio, seduto su una panchina del Parco Massari di Ferrara....

musacchiCaspita che successo, quanta gente ricorda o crede di ricordare, facendo simpatiche confusioni, le nostre parlate, i detti, le esclamazioni e altro. Volevo solo parlarvi di ciò che è solo Ferrarese,(Gamb a ciupéta, Sanrumàn ch’al fa prestit al Dom, toh Maràra, l’òch ad Fargnàn… eccetera.) Mi avete seppellito di detti,  testimonianze, quesiti, curiosità e altro! Ricordo per l’ennesima volta che io non sono uno studioso, mi limito di parlare e far parlare più gente possibile il Dialetto, Lingua o Parlata come dir si voglia mia e della Terra ove sono nato e vissuto io e i miei avi. Per chi desidera risposte esaurienti consiglio ancora una volta il sito del “Tréb dal Tridèl” o rivolgetevi alla Professoressa Floriana Guidetti. Li troverete facilmente sul web. Oggi vi propongo altro materiale che, suppongo, stimolerà ricordi e discussioni in molti di voi: luoghi e personaggi della Ferrara di nemmeno tanti anni fa: buona lettura!

I bùlo dì “Quatrèse” . O truàras  int’ al “Quatrèse” – (I bulli dei “Quattro Esse”- O darci appuntamento in Quattro Esse).  Zona centrale di Ferrara. Più o meno ove fa angolo il Teatro Comunale. Viale Cavour e via Giovecca  Quattro strade si uniscono disegnando quattro esse. Incrociandosi  con via  Borgo dei Leoni e Martiri Della Libertà. Più simpatica e ironicamente Ferrarese è la tesi che appioppa  a bulli in bolletta la nomea di : Bùlo di Quatrèse, ovvero : Sén Sémpar Senza Sòldi” . (Siamo Sempre Senza Soldi).

Al tràm còl tiràch. (Il tram, in realtà si trattava di filobus, con le “bretelle”.) Per decenni Ferrara fu percorsa da due linee di filobus. Chissà perché poi cancellate … peccato ! I due agganci con la  doppia linea elettrica che dava loro il moto, erano costituiti da due supporti che allacciati ai doppi cavi cavi, portavano la corrente al motore del mezzo pubblico. Spesso durante la “esse” che va da viale Cavour a via Giovecca, per quel quasi repentino cambio di percorso si sganciavano, il filobus si fermava. Il conducente, imprecando  … pazientemente,(accompagnato in tali litanie dai poco remissivi utenti,) scendeva e tramite funi legate alla sommità delle suddette bretelle, riagganciava alla linea elettrica ripartendo. Inutile dire quante battute si sentivano dai pedoni, che assistevano divertiti a tali teatrini!

La granatina da Hitler. (La granita da Hitler). Bella storia questa. Finite le partite della mitica Coppa don Bosco, noi del quartiere di San Benedetto ci recavamo, per consumare una granita o altro,  nel chiosco, situato nel parchetto di via Corso Isonzo. Il gestore, comunista “saganato”, una sera venne salutato, con l’urlo: Heil Hitler,  da qualche buontempone, rigorosamente nascosto nel gruppo al ritorno verso Porta Po. Niente di politico, lo si faceva solo per vederne la reazione che, almeno a risposte, era abbastanza bellicosa e colorita. Da allora il chiosco si beccò quel poco simpatico, pur goliardico,  appellativo.

Cumpràr a “Travàli Square  Butich  Americàn Stràz”. ( Far shopping a “Travaglio Square boutique Americàna Stracci). Nel dopoguerra, gli Americani donarono tonnellate di vestiti. A Prato venivano lavorati come stracci, per trasformarli in carta e altro. Quelli che ancora erano in buono stato, venivano rivenduti nei mercati di tutta Italia. Nelle bancarelle di piazza Travaglio. Alla domanda: Dove hai acquistato il tal capo che ti sta tanto bene? La risposta spesso era: All’Americàn Stràz!- Ma poteva anche esser più sferzante: Mó in dù l’at cùmprà, a l’Americàn Stràz? (Ma dove l’hai acquistato, all’American Stracci?)

Banda dal Piazàl ad Sanbandét-( Banda del piazzale di San Benedetto.) Era una “banda “ di ragazzini che ricordavano un po’ “I Ragazzi della via Pal”, mitico romanzo della nostra gioventù. C’ero anch’io in quel gruppo, in realtà eravamo considerati “lazarùn” forse perché figli dei più poveri del quartiere. I più borghesi invece frequentavano solo la Parrocchia di San Benedetto, anche se poi in realtà noi si andava in parrocchia per giocare al calcio, calcino, ping pong eccetera  e andare al cinema parrocchiale di via Bagaro. Comunque poi, anche  alcuni di loro ci bazzicavano.

“Quèj dal Stànta” in Murtàra, o andàr al “Stànta in Murtàra”.( Quelli del Settanta in Mortara, o andare al “Settanta” in via Mortara. Il numero settanta in via Mortara a Ferrara corrispondeva all’ingresso di un antico ex convento. Fu occupato da disperati senza casa e lavoro. Specialmente dopo la disastrosa, ultima guerra, a causa dei bombardamenti Ferrara era ferita o distrutta per la gran parte degli edifici. Pontelagoscuro quasi interamente raso al suolo. Tra questi vi era una parte di piccoli delinquenti e prostitute. I giovani che la occupavano godevano di cattiva nomea, bastava dire: Quéj j’è dlà banda dal “Stànta” .(Quelli sono della banda del “Settanta”, e se ci si trovava ad incrociarli, specialmente nelle balere, era prudente girar loro alla larga.

“Quéj ad Sanlùca” , o” andàr a Sanluca l’è mèj con l’elmét”. (Quelli di Sanluca, o “andare a San Lçuca è consigliabile  l’elmetto”).Il quartiere di San Luca, un tempo lontano, ma non troppo, era considerato una specie di Casbah, o  via Forcella di Napoli. Dicevano che ci voleva il passaporto o l’accompagno d’un boss locale per entrarci.

“Banda dal Biràgo”- (Banda del Biràgo). Gruppo di ragazzi, tutto sommato quasi inoffensivi.  “Birago” è il nome che si riferiva ad un gruppo di caseggiati popolari in via Porta Catena a Ferrara.

“Star in ti camatùm dlà Mura”.- (Abitare i “Camatùn” della Mura degli Angeli). Alcuni archi rientranti all’esterno delle  Mura di Ferrara, chiamati “camatùn”, furono anche questi luoghi, nel dopoguerra, abitati per anni da gente senza altra possibilità d’alloggio. Ripieghi abitativi, completati con cartoni, lamiere o tavole di legno,  che rimasero per anni perfino nel parlato Ferrarese. Un disperato in cerca d’abitazione minacciava: Vót ch’à vàga a stàr? Int i camatùn?(Vuoi che vada ad abitare nei “camattoni”)?

A  nudàr a la  “Giarina biĉ” . (A nuotare a “Giarina beach”). La Giarìna era una grande lido sabbioso sul Po in territorio di Occhiobello. Molto meno inquinato di ora. Praticamente, nonostante altre spiagge in zona Ferrarese, quella fu la spiaggia dei Ferraresi per tantissimi anni. Ci si andava in bicicletta, mosquito, lambretta e vespa. Almeno  finché la motorizzazione familiare, con le prime cinquecento e seicento Fiat, ad esempio,  consentì di recarsi al mare.

Al màr còl trenin ad Magnaàca. ( Al mare con il trenino di Magnavacca). Per un certo periodo i Ferraresi poterono andare a Magnavaccca, l’attuale Porto Garibaldi. C’era chi si portava il sapone perché il bagno era sinonimo di pulizia e invece di farlo nel mastello con l’aiuto di un familiare che lavasse la schiena, si approfittava di tanta acqua per lavarsi per bene. Questo lo si vedeva fare anche all “Giarina” o nei canali. Fare il bagno è rimasto nel parlato anche Italiano.

A nudàr in t’al canalìn dlà Gramìcia . (A nuotare nel canaletto della Gramicia). Il canale è quello che delimita il Parco Urbano di Ferrara. Era la piscina dei poveri. L’acqua, fangosa ma poco inquinata, livello molto basso, quindi poco pericolosa, consentiva ai ragazzi della zona di trascorrere ore nuotando e sguazzando allegramente.

A nudàr in Canalón– (A nuotare in Canalon). Il Canal Bianco, chiamato Canalón, ovvero canale grande. Era meta di nuotate, spesso serali dopo il lavoro. I luoghi preferiti erano: la darsena di Ferrara, con le sue pareti in cemento e relative scalette per risalire, ricordava un po’ una piscina, per cui erano tanti i ferraresi che ne usufruivano. Molto praticato era  il porticciolo adiacente il ponte di San Giorgio dal quale i bagnanti si cimentavano in arditi “fichìt” ovvero tuffi.

A nudàr int al màsar– (A nuotare nel macero). Vi erano in Provincia di Ferrara numerosissimi maceri, alcuni ancora sopravvissuti. Vi si faceva il bagno solamente prima della messa a dimora della canapa, perché l’acqua imputridiva e fino all’anno successivo era impensabile immerge visi.

A nudàr in piśina a  Mulinèla.(A nuotare in piscina a Molinella). Fu la prima piscina pubblica aperta in prossimità di Ferrara. Io e altri amici ci andavamo in bicicletta. Più avanti  arrivarono quelle di San Martino, più vicine e più comode da raggiungere.

In vacanza? Si mò … sul Mont Agnón- (In vacanza sul Monte Agnone). Il Montagnone è il punto più alto di Ferrara. Una collinetta fatta alzare dagli Estensi per una delle tante delizie del Ducato. Oggi è rimasta l’altura con sulla sommità uno dei due acquedotti Ferraresi.

La pìza e i e i céci, in Garibaldi,  da Orsùci. (La pizza e i ceci, in via Garibaldi, da Orsucci. Il primo pizzaiolo a Ferrara fu Orsucci. Toscano faceva piccole pizze rotonde in stampini uguali. Serviva  pure i ceci e le focacce di  farina castagna. Raccontò che, venuto a Ferrara per intraprendere l’attività, scese per errore nella piccola stazione di Gaibanella, rimanendo stupito, per quanto gli parve piccola, quella che scambiò per la nostra Città.

La Gigina. Andàr dàla Gigìna (Andare da Gigina). Era sinonimo di “andare  a bere una  birra alla spina, considerata la migliore di Ferrara. La Gigina è trattoria ancora aperta, presso la Stazione Centrale di Ferrara, in zona di Università Architettura.  L’edificio, in origine zuccherificio. Alcuni tavoli con relative poltroncine, della birreria, erano collocati sui binari del treno merci che, con un prolungato suono, “consigliava” di spostarsi  velocemente, con relativi bicchieri, tavoli e poltroncine, per non essere travolti; cosa che non successe mai!

Al zlà dai muntanàr dlà Cadorina-(Il gelato dai montanari de”La  Cadorina). Non ne ricordo i nomi. Una garbata signora, un uomo rubizzo e corpulento e  un altro magro e gentile. Forse fratelli. I loro gelati erano all’epoca decisamente i migliori. Gli abitanti del Cadore esportarono i loro gelati, e loro stessi, in  tutto il Mondo. Oggi li potremmo chiamare : “I cinesi del gelato”!

Al cafè al Doro- (Il caffè al Doro). Era un classico, dopo il ballo, verso l’una o le due, di notte, ore piccole dal numero che le contraddistingue. Andavamo a prendere un caffè o altro e tirar tardi. Locale unico aperto a quelle ore vi trovavi di tutto: camionisti soprattutto, ma anche una variegata fauna di “animali” notturni, perché non vi era autostrada e tutti i traffici passavano di lì.

Int i prà ad Palmirànin, campurèla– (Nei prati di Palmirano, in camporella). Territori ampi, privi di colture ad alto fusto. Ci si andava con la ragazza in quanto molto isolati. Non di giorno perché territorio di caccia, abbastanza pericolosi.

In moto con la cuèrta- (In motocicletta con la coperta). Tenuta ferma con elastici, sulla “sella lunga” della moto, serviva per l’appunto per distendersi in “camporella”, con l’amante, “par briśa inverdumàras”. Per non sporcarci di verde sull’erba.

Éra éra ché al tò cul l’è fàt a péra.(Davvero davvero sai che il tuo deretano è a forma di pera). Bruttissima cantilena detta nei confronti di gay. Mi ricorda un luogo, la Mura all’entrata in San Giovanni. Andavo a giocare con alcuni ragazzi in uno dei pochi spazi ove si poteva giocare a pallone. Da una delle case popolari in legno che c’erano all’epoca, una giovane donna mi apostrofò così. Non ne sapevo il significato. Seppi in seguito che, più avanti, non lontano da dove noi ragazzi si giocava al calcio vi era una specie di”club” di omosessuali e la ragazzotta mi aveva scambiato per uno di loro. Da allora … cambiai percorso!

T’am pàr la Bèla Bèpa- (Mi sembri la Bella Giuseppa). Tale nomignolo apparteneva ad un cameriere omosessuale del periodo anteguerra. Rimase per anni radicato nel dialetto per apostrofare uomini con atteggiamenti femminili.

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