Lettere al Direttore
21 Maggio 2015

Nessuno mi può valutare… soprattutto chi mi paga

di Redazione | 7 min

Il dibattito sulla scuola che, da qualche tempo, si svolge nel Paese, si sviluppa prevalentemente sulla base di considerazioni ideologiche e, quasi mai, le diverse parti in causa prospettano le loro argomentazioni corredandole con dati di fatto verificabili da tutti. Di conseguenza il dibattito non approda ad alcunchè: i contendenti rimangono fermi sulle loro posizioni e gli utenti del servizio scolastico traggono da ciò solo l’impressione di trovarsi di fronte all’ennesima esibizione di inconcludente abilità retorica.

Un noto pensatore di qualche tempo fa ebbe a dire che “ la prova del budino è nel mangiarlo ”. La frase, per quanto di dubbia correttezza grammaticale, è cristallina nella sua semplicità e nella sua evidente, universale, applicabilità. Essa potrebbe (e dovrebbe) essere applicata anche nel caso dell’odierno dibattito sulla scuola o meglio sulla “buona scuola”.

Coloro che, in questi giorni, stanno pesantemente contestando la riforma proposta dal governo sostengono di farlo in nome della salvaguardia di nobili principi e per il bene della scuola pubblica. Si arriva a scomodare la Costituzione e la letteratura mondiale; si prospettano le affermazioni più opinabili dichiarando di desumerle dai sacri principi di Libertà, Uguaglianza, Democrazia e prospettando, qualora le riforme finalmente si realizzassero, apocalittici scenari. E’ molto interessante invece, e lo sarebbe ancor più per gli utenti del servizio scolastico, accertare se, tutto ciò corrisponda al vero. Nelle vicende del recente passato si riscontrano numerose situazioni analoghe e documentabili sono le posizioni assunte dalle parti coinvolte, così come i vantaggi ottenuti, quasi sempre, a discapito dell’efficienza del servizio, ovvero della buona qualità della scuola.

Entriamo nel merito.

Alla fine del 2012 il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ventilò l’ipotesi di aumentare il numero di ore di lezione dei docenti della scuola secondaria, portandole da 18 a 24 a settimana. Obiettivi dichiarati erano omologare il livello di impegno dei docenti (tra loro e con gli standard dell’Europa occidentale) e, al contempo, risparmiare importanti risorse sulle supplenze; con l’effetto indiretto, ma non per questo meno importante, di semplificarne la gestione e pervenire gradualmente alla drastica riduzione del problema del precariato. La contropartita offerta dal ministro ai sindacati, e ai docenti, era quella di aumentare il periodo di ferie di 15 giorni (“ufficializzando” parte dell’assenza, coincidente con le vacanze estive degli alunni, che , da sempre, i docenti fanno gratuitamente).

Contro il progetto di Legge Profumo si ebbe una reazione molto forte: venne proclamato uno sciopero generale da tutti i sindacati, si ebbero molteplici iniziative di opposizione, ivi compresa una petizione in rete con centinaia di migliaia di adesioni. Alla fine dei “giochi” (siccome,comunque, i risparmi dovevano essere realizzati) si intervenne sul cosiddetto fondo di Istituto (cioè quei soldi che vengono assegnati alle scuole per realizzare attività di arricchimento da destinare agli alunni). Con buona pace di tutti gli oppositori quei fondi vennero ridotti di circa il 30%.

Alla fine del contestato percorso si ebbero alcuni inconfutabili risultati:
– l’orario degli insegnanti rimase immutato;
– il “non lavoro” degli insegnanti in concomitanza delle vacanze degli alunni mantenne le sue caratteristiche di indeterminatezza giuridica (e di poco dignitosa regalia!);
– i supplenti continuarono ad essere nominati con le vecchie, disfunzionali, procedure;
– le risorse da destinare al miglioramento dell’offerta formativa vennero consistentemente ridotte.

Quale che sia il giudizio che si ritiene di dare su quella vicenda è del tutto evidente ed inconfutabile che, in quell’occasione, i grandi principi e la qualità del servizio (che pure anche allora furono addotti a difesa dello status quo) vennero tranquillamente disattesi, in cambio del mantenimento di posizioni personali più vantaggiose: si sacrificarono risorse da destinare agli alunni per tutelare i presunti “diritti acquisiti” del personale.

Nel 1999, due Contratti Nazionali di Lavoro del comparto scuola definirono obiettivi, modalità e compensi per la valutazione degli insegnanti. Le procedure, concordate tra ministero e sindacati firmatari dei contratti rappresentavano anche l’attuazione concreta di principi e precise disposizioni, definiti in Contratti precedenti che, fin dal 1988, avevano decretato l’esigenza e l’opportunità di valutare e riconoscere concretamente il merito specifico del personale. Si prevedeva l’attuazione di un concorso nazionale di merito che avrebbe definito nuove modalità di progressione di carriera e riconoscimento dell’impegno e della competenza del personale. Si ebbe una sorta di sollevazione di parte dei docenti, mobilitati da Cobas, Gilda e Sindacati autonomi. Temendo di perdere popolarità e consensi, si accodarono all’agitazione anche gli stessi sindacati che avevano sottoscritto i contratti e, alla fine, l’allora Ministro, Luigi Berlinguer, dovette desistere.

Risulta particolarmente interessante leggere alcune affermazioni rese dai sindacalisti dell’epoca: “Non si tratterà più di effettuare un maquillage di ciò che era stato definito – ora si individueranno modalità nuove e più trasparenti sul come effettuare la prova di valutazione” (segreteria della CISL scuola, febbraio 2000).

“Il riconoscimento retributivo deve essere legato al complesso dell’impegno professionale che si svolge nella scuola – siamo per l’annullamento di tutti i decreti attuativi relativi ai 6 milioni. Gli insegnanti non devono sostenere alcun esame …”.(segreteria della UIL, febbraio 2000).

Paradossalmente lo stesso Ministro si accoda al coro antivalutazione arrivando a sostenere: ” … perchè non intendiamo valutare gli insegnanti in senso stretto, ma promuovere una progressiva capacità professionale, incoraggiare un impegno sempre maggiore e soprattutto valorizzare ciò che di positivo si realizza nella scuola”. ( Luigi Berlinguer. Marzo 2000)

Ovviamente, come ben sanno tutti gli addetti ai lavori, non se ne fece nulla. Le altisonanti affermazioni di Ministro e sindacalisti rimasero vuote parole ed i docenti italiani, contrariamente a quanto avviene in quasi tutto il resto d’Europa, continuarono a restare nel loro limbo “autovalutativo”, refrattari ad ogni tipo di valutazione oggettiva (anche nei periodi dei Ministri Moratti e Gelmini). A ciò si aggiunga che da svariati anni, a seguito delle rivendicazioni sindacali in sede di contrattazione nazionale, il personale non è affatto tenuto alla formazione in servizio: l’aggiornamento professionale è un diritto non un obbligo; ed è perfettamente possibile che un docente sviluppi tutta la sua carriera (dalla nomina alla pensione) senza minimamente preoccuparsi di incrementare la propria competenza professionale.

Nel corso degli anni si sono succeduti a ritmo continuo, dotte teorizzazioni, gruppi di studio e commissioni nazionali su professionalità e valutazione. Nessuna delle proposte elaborate (da chi, peraltro, aveva autorità e competenza per farlo) è mai andata a buon fine e le disposizioni, che pure sono state emanate, sono rimaste inapplicate: “grida” di manzoniana memoria. Secondo quanto affermano gli attuali oppositori del progetto di riforma, gli insegnanti, però, desiderano essere valutati … il problema è che il modo non è adeguato: non è “scientificamente corretto” o “sufficientemente trasparente ed obiettivo”. In verità la questione della valutazione del personale della scuola, nel nostro Paese, sembra essere molto simile a quella dell’albero di Bertoldo: come è noto, egli doveva scegliere un albero al quale sarebbe stata appesa la corda che lo avrebbe impiccato … lo sta ancora cercando!

Dai fatti sopra menzionati e dai comportamenti delle diverse parti coinvolte non sembra emergere un quadro particolarmente cristallino delle reali motivazioni che stanno alla base dell’attuale ennesimo tentativo di bloccare il processo di cambiamento nella scuola: queste hanno tutto l’aspetto di attenere più all’interesse privato che al bene pubblico. Molti altri avvenimenti della storia della scuola italiana possono confermare tale impressione. L’economia di questo contributo non consente di fare una disamina in tal senso, tuttavia gli esempi sono innumerevoli: dalla Legge sul calendario scolastico (interpretata in maniera da ridurre al minimo consentito l’orario di servizio), al sistematico boicottaggio del Decreto Legislativo 150 del 2009, alla massiccia intimidazione giudiziaria esercitata contro i dirigenti scolastici che tentano di applicarlo, alla inammissibile ostruzionismo delle prove INVALSI.

In ultima analisi e ritornando al … budino, dai fatti menzionati emerge che lo stesso non è un gran che: ha un sapore stantio, sembra fatto con ingredienti vecchi e ormai scaduti che ci vengono propinati perché, disgraziatamente, la nostra cucina non ha di meglio. E’ sempre uguale a se stesso ed è sempre fatto badando prevalentemente, se non esclusivamente agli interessi di categoria.

Tutto ciò, tuttavia, a ben vedere, appare come comprensibile e lecito. Può essere ritenuto lecito che i sindacati tutelino incondizionatamente l’interesse dei lavoratori; è lecito che i precari , tutti i precari, chiedano a gran voce di essere assunti (anche se è impensabile che ciò possa essere fatto); è comprensibile che i docenti non vogliano essere valutati; può essere comprensibile che la discussione sulla scuola si sviluppi tutta (o quasi tutta) sui temi che riguardano il personale e ignori quasi completamente gli alunni e la qualità dell’insegnamento-apprendimento: le organizzazioni sindacali esercitano i loro compiti statutari e il personale cerca di ottenere il meglio per se stesso.

Non è, invece, legittimo che queste rivendicazioni e queste manifestazioni vengano contrabbandate come difesa della scuola pubblica e tutela degli alunni. Per favore: ci risparmino la stucchevole lezioncina sulla difesa dei sacri confini della Costituzione e la salvaguardia del pubblico bene. Camuffare la tutela dei propri interessi, anche quelli più retrivi, con altisonanti affermazioni valoriali, significa farsi scudo con gli alunni, e farsi beffe dei genitori. Ciò è deontologicamente inaccettabile!

Gianni Corazza

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