Attualità
18 Aprile 2015

Sono passata con il rosso

di Redazione | 5 min

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unnamed (7)Gliel’ho promesso che avrei iniziato così, e sia. Devo incontrare Valeria. Sono le cinque e mezza. Sono un po’ in ritardo. Arrivo a Liverpool Street, mi piazzo di fianco alle scale mobili subito fuori dall’entrata, esattamente come siamo rimaste d’accordo per telefono. C’è un ragazzo che suona la chitarra e mille persone che mi sfrecciano accanto. Praticamente io e lui siamo gli unici immobili nel perimetro della stazione.

Ed eccolo che arriva, il primo bi-bip. Messaggino da Valeria: “Potrei fare 5 minuti di ritardo. Mi sono dovuta fermare a far cambiare una gomma bucata Sono un disastro”. Rido. Sento con questa ragazza già un gemellaggio da sfortuna sfacciata acquisita alla nascita. Cinque secondi dopo un altro bi-bip: “Qui hanno praticamente finito, tipo altri 5 minuti e arrivo.” Non ci siamo mai viste prima ed è tutta preoccupata. Faccio per mettermi a rispondere alle mille mail lasciate in sospeso ed eccolo che arriva, il terzo bip-bip, tipo escalation drammatica: “Mi hanno fermato gli sbirri. Sono passata con il rosso. Sembra una barzelletta…”

Quando finalmente arriva chiede scusa in tutte le lingue del mondo, ma io rido e non sono annoiata per nulla. Sarà che era stata una bella giornata. Sarà che Valeria e la sua sciarpa rossa, sì, perché mi aveva detto che aveva una sciarpa rossa, tipo indicazioni da appuntamenti al buio, mi stanno simpatiche a pelle. E’ troppo sfortunata (nella vita reale non avrei utilizzato questo ‘sfortunata’, che suona tanto come ‘acciderbolina’ accoppiato ad un mignolo contro uno spigolo, ma scrivendo manterro la decenza che perdo quando parlo).

Torniamo a miss ho-quasi-preso-una-multa-passando-con-il-rosso-i-vigili-volevano-pagassi-50-pounds-o-andassi-a-questa-specie-di-seminario. Me lo dice così. Tutto d’un fiato. Si calma un attimo solo quando finalmente ci sediamo di fronte ad una birra. Ce l’abbiamo fatta. E lei inizia a raccontarmi di dov’era e di cosa aveva finito alle cinque, per poi correre a Liverpool Street.

“Da luglio di quest’estate faccio volontariato in un centro di riabilitazione mentale. Lavoro con persone che non necessariamente provengono da istituti. La maggioranza lavora con psicologi di NHS. Sono ad una fase di riabilitazione un pochino piu’ avanzata. Sono persone che spesso sono state fuori dalla realta’ lavorativa per un po’, magari anche un bel po’ di tempo. Per questo gli viene offerto un placement di tre mesi, in questi training nei quali lavoro come volontaria. Dove lavoro ce ne sono due, una panetteria e un corso di riparazione biciclette.”

In pratica Valeria una volta a settimana va ad imparare a fare il pane e quanto simili nelle loro fragilita’ siano le persone. “Puo’ venire facile alle persone pensare di avere una marcia in piu’. Puo’ venire facile pensare che sei tu, quello perfettamente sano e loro, quelli con dei problemi e finirla li’. Ma e’ molto piu’ complesso di cosi’. All’interno di quest’ambiente si costruiscono relazioni reali. Legami veri. Non vedi le persone attorno a te come malati, le vedi solo come persone. E’ per questo che mi piace quel posto.”

In piu’ mi spiega che in Italia e in Inghilterra il tema ‘salute mentale’ e’ affrontato in modo molto diverso: “Qui in Inghilterra e’ tutto molto categorizzato. Hanno milioni di etichette che pretendono di definire la cosa. Sembra cosi’ facile a volte poter ricadere in una di queste categorie. Basta ci sia un qualche cosa che non funzioni perfettamente. Cosa che secondo me in realta’ e’ la norma.”

Valeria studia Medical Anthropology alla SOAS – School of Oriental and African Studies. Ecco il perche’ del volontariato e del suo interesse. Sta facendo un Master part time, ed e’ al suo secondo ed ultimo anno. Ha fatto la triennale a Siena, poi ha iniziato la specialistica, sempre a Siena e subito dopo ha deciso di andarsene. Era tutto troppo uguale e ripetitivo.

Londra non era una meta casuale. A Londra c’e’ la SOAS, un po’ il suo sogno sin dall’inizio. “Il primo anno a Londra pero’ ho lavorato. E’ stato un anno favoloso. Un anno come non avevo mai vissuto. Non mi ero mai mantenuta da sola. Ho lavorato in un bar. Ho incontrato gente da tutto il mondo. Ho conosciuto, durante quell’anno, alcuni tra gli amici piu’ cari che ho qui a Londra. Poi dovevo fare il famigerato IELTS, cosi’ ho fatto qualche corso d’inglese.”

Quante cose che ha da raccontare. Saltiamo qua e la’. Cerco di capire. Ad un certo punto finiamo a parlare di lingue. Del suo rapport con l’italiano e l’inglese e delle persone che le stanno intorno. “Io la sento ancora la differenza in espressivita’ che ho con l’italiano e con l’inglese. Fondamentalmente ce la metto tutta, ma a meno che io non viva qua per il resto dei miei giorni, non riusciro’ mai a scherzare con gli amici inglesi come con quelli italiani. Fare una battuta in italiano viene cosi’ naturale. A SOAS pero’, dove studio, perfino parlare due lingue a volte e’ poco. Lo studente tipo ne parla almeno tre. L’origine tipo e’ madre somalo-eritrea e padre giapponese-messicano, pero’ figlio/a cresciuto a New York.”

Valeria era venuta qui con uno scopo. Il corso universitario. Il corso finira’ a Settembre e mi racconta che vuole partire. Vuole andare in India, per un po’. Vuole prendersi un anno. Lavorare per vitto e alloggio, magari in un ashram e andare in un posto diverso. In un posto piu’ lento. Poi forse tornare. Magari a Londra, magari no. Buon viaggio antropologa.

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