Attualità
8 Marzo 2015

Luca era gay, e forse anche il fratello del nonno

di Redazione | 4 min

Solo che di lui non lo saprò mai, primo perché non c’è più e secondo perché ammesso e non concesso, mai l’avrebbe detto, figuriamoci!, sessanta anni fa non c’era nemmeno lo spazio mentale per pensarle certe parole. Se ci pensate magari anche nella vostra di famiglia c’è, che so, una prozia rimasta sempre zitella, un terzo cugino dei cui amori non si è saputo mai nulla, o amenità simili (e non vi cito i parenti più prossimi perché so che su estense.com vi sono lettori sensibili che potrebbero avere uno scompenso a pensare che magari la sorella…). A dar retta alle (poche) statistiche si stima che la popolazione omosessuale oscilli fra il 5% (dato che aveva fornito Kinsey a seguito della sua pantagruelica ricerca americana negli anni 50) e il 10% di altre ricerche fatte in giro per il mondo. Naturalmente il fratello del nonno, se per caso fosse stato omosessuale, a una domanda diretta avrebbe detto decisamente di no, fuoriuscendo dunque dalla stima 5-10% di coloro che lo dichiarano. Ciò lo scrivo per due motivi: il primo è che statisticamente ognuno di voi conosce probabilmente un gay o una lesbica, e la seconda è perché sento spesso dire che oramai essere gay e lesbiche è una moda. La verità è molto più prosaica ovvero ora ci dichiariamo molto più, non dico di sessanta anni fa, ma anche solo di dieci o quindici. Ecco svelato l’arcano. Oggi gay e lesbiche hanno molta meno paura a parlare liberamente della loro vita affettiva. Così come Luca, che era gay e non lo è più, e non perde occasione di dirlo, in tutti i luoghi e in tutti i laghi, sì perché a Medjugorje ha ritrovato se stesso e ora si comporta come gli ex fumatori, quelli che fumavano minimo due pacchetti al giorno, e che appena vedono qualcuno che sta per accendersi una sigaretta schiumano dalla bocca e iniziano una predica lunga quanto una messa cantata. Ora, io non metto in dubbio che per qualcun* possa essere un vero cruccio scoprire dentro di sé una pulsione non conforme alla maggioranza intorno, né metto in dubbio che costoro possano arrivare a cercare di curarsi (con risultati che sarebbe interessante conoscere, ma pare che i dati non siano disponibili; più interessante potrebbe essere forse approfondire il concetto di omofobia interiorizzata che è come quando un meridionale negli anni novanta votava Lega Nord). Voglio dire: ognuno è libero di crearsi i problemi che preferisce. Però, onestà intellettuale vorrebbe che non se ne facesse un paradigma valido per tutt* gli/le omosessuali, ma solo di coloro che soffrono di mancata accettazione di se stessi (per altro conosco un certo numero di donne eterosessuali che hanno un mucchio di conflitti con l’universo maschile, non sono mica tanto contente, magari potrebbero considerare di “guarire” pure loro).

La teorie riparative (ovvero quelle teorie che sostengono che l’omosessualità è una specie di malattia) nascono dalla fatidica domanda “Omosessuali si nasce o si diventa?”

Per conto mio questa è una questione mal posta, nel senso che a me, presentemente, sapere se ci sono nata o ci sono diventata sarebbe un dato del tutto inessenziale e per un semplice fatto: sono contenta così come sono.

Non mi frega niente di poter dire “Ah be’ ma sono lesbica perché ho un gene che mi fa essere così”, oppure “Ah be’ ma sono lesbica perché mia mamma o mia papà erano troppo così o troppo colì”. Non devo trovare un motivo, una discolpa, una giustificazione, né investigare se esiste un nesso di causa-effetto possibilmente traumatico e collocato possibilmente nell’infanzia, alla mia condizione attuale. Ma la questione mal posta di cui sopra punta dritto a un’altra questione dietro cui si fanno scudo riparatori, sentinelle in piedi, quarantenni che vogliono la mamma, e chi ne ha più ne metta ed è la questione natura o cultura.

Quelli che tirano per la sottana la “Natura” per dire che la ragione è la loro, nove volte su dieci usano una parola vuota, priva di contenuto specifico. Premesso che da almeno un paio di millenni filosofi di ogni epoca e latitudine si sono interrogati su cosa sia la natura e cosa la cultura senza venirne a capo, dire, per esempio, che è la natura che stabilisce che il matrimonio deve essere fra un uomo e una donna, è fare una affermazione che non ha fondamento reale. La natura ha stabilito che per la procreazione serve un gamete maschile e uno femminile, ma nulla ha stabilito circa il matrimonio, ovvero una costruzione sociale, culturale più che naturale. Per la natura, per altro, non hanno nemmeno tanto senso le parole “uomo” e “donna”, ma semmai “maschio” e “femmina”, essendo anche “uomo” (e quello che la cultura detta come comportamenti adatti al maschio umano) e “donna” (e quello che la cultura detta come comportamenti adatti alla femmina umana) sono essi stessi costruzioni sociali. Gioverà ricordarlo, specie in questi giorni intrisi della retorica stucchevole sulle donne e la loro festa.

Michela Poser

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