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5 Marzo 2015
A Venezia mostra con oltre cento opere provenienti dalle più importanti istituzioni internazionali

Rousseau a Palazzo Ducale

di Redazione | 4 min

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Henri Rousseau (1844-1910) detto il Doganiere è ritenuto senz’altro il pittore naïf più importante dei tempi moderni. Nato a Laval, era stato addetto alla dogana di Parigi. Dipingeva quasi segretamente, dedicandosi anche alla musica. Solo nel 1885 riuscì a presentare qualche dipinto al Salon des Indépendants. Dopo un’esposizione al Salon d’Automne, nel 1905, strinse amicizia con Picasso, Delaunay e Apollinaire, che subito ebbero a stimarlo e a farlo conoscere. Morirà in un letto miserabile dell’ ospedale Neeker di Parigi, questo gentile e bizzarro vecchietto che, in un momento di euforia aveva detto a Picasso: “Noi due siamo i più grandi pittori dell’epoca”, ma la sua opera rimarrà come il più alto tributo dell’arte ingenua.

Forse il momento più magico della sua pittura è raggiunto dal Doganiere con la serie dei dipinti esotici realizzati dopo il 1891, nei quali gli schemi formali sembrano coincidere con gli stessi archetipi, esserne cioè l’esatta proiezione.
La “Stimmung” magica di opere come Tempesta nella giungla, del 1891, o Zingara dormiente, del 1897, trova riscontro nei quadri della maturità, come L’incantatrice di serpenti o Il sogno di Yadviga eseguiti dopo il 1907.

La lunga favola di Rousseau non si costringe tuttavia ad una unica “elegia bianca”. Questo tipico rappresentante della piccola borghesia francese non manca di rapporti con la civiltà del suo tempo: le emozioni, le credenze, i miti assumono però le figurazioni fiabesche che l’immaginazione ingenua gli detta con inesauribile freschezza. Egli si incanta dinanzi alle conquiste del Progresso, ed esalta la pace riconoscendola unica garanzia di quel Progresso, che gli scrittori del tempo scrivevano con l’iniziale maiuscola, nel loro estremo ottimismo positivista.

Molte volte Rousseau sembra respirare in un clima di Esposizione Universale. E perciò paventa la guerra, assurda distruttrice. Il pavento della catastrofe lo induce anzi a dipingere Guerra, dove il genio della morte cavalca il buio mostruoso destriero sopra una turba di cadaveri e di moribondi, fra alberi spogli dai rami spezzati.

Un ideale di fratellanza universale gli suggerisce invece i rappresentanti delle potenze straniere vengono a salutare la Repubblica in segno di pace: qui, tutti i potenti della terra appaiono insieme per schiudere all’umanità un’era di serena prosperità, mentre il popolo esulta facendo il girotondo attorno al monumento.

In molti suoi quadri, poi, il Progresso s’inserisce coi simboli più clamorosi di quegli anni: gli aerei di Wright e di Blériot, il dirigibile “Patrie” e aerostati che paiono sortire dalle pagine di Jules Verne.

A Rouseau la fondazione Musei Civici di Venezia, con la collaborazione scientifica e i prestiti eccezionali del Musée d’Orsay et de l’Orangerie di Parigi dedica una mostra con oltre cento opere provenienti dalle più importanti istituzioni internazionali (quaranta opere dell’artista e sessanta a confronto), ospitata nell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale con il titolo Henri Rousseau. Il Candore Arcaico, aperta fino al 5 luglio 2015. Il progetto, nato da un’idea di Gabriella Belli e Guy Cogeval, commissari dell’esposizione, condiviso e sviluppato da illustri studiosi italiani e stranieri, non vuole essere l’ennesima celebrazione della naïveté del pittore francese, ma piuttosto la presentazione di un lungo percorso di studi iniziato da diversi anni per mettere nella giusta critica e storiografica l’opera di Rousseau, figura di riferimento per i grandi protagonisti delle avanguardie storiche, per intellettuali come Apollinaire e Jarry, per grandi collezionisti come Wihelm Uhde e Paul Guillaume, ma anche per tanti pittori che precedettero e superarono le avventure cubiste e del futurismo: da Cézanne a Gauguin, da Redon a Seurat, da Moranti a Carrà, da Frida Kahlo a Diego Rivera, per non dire di Kandinskij e Picasso. Tutti artisti presenti in mostra con opere che dialogano coerentemente con quelle dipinte dal Doganiere nella sua breve stagione creativa tra il 1885 e il 1910.

Accanto a essi, una scelta mirata di lavori esemplari di antichi maestri – da Liberale da Verona al Maestro della Fruttiera Lombarda, da Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia a Francisco Goya – per indagare, con un taglio critico assolutamente nuovo, quell’ispirazione all’arcaismo che nel corso dei secoli come parallela al classicismo e della quale l’opera di Rousseau sembra essere lo spartiacque tra Otto e Novecento.

Un evento mai realizzato prima d’ora in Italia, che attraverso otto sezioni tematiche consente di ammirare alcuni dei più celebri capolavori del pittore francese, come il celebre Ritratto-paesaggio (18889-90), che l’artista considerava il primo “ritratto-paesaggio” della storia dell’arte. Il cortile (1896-98) acquistato personalmente da Kandinskiy ed esposto nella prima mostra del Blaue Raiter a Monaco. La guerra o la cavalcata della Discordia (1894) dipinta da Rousseau con quello sguardo innocente che Ardengo Soffici, suo grande estimatore, definiva ricco di “ingenuità da bambino”.

Fino alla fine la ricchezza poetica mai venne a mancare al Doganiere: “In lui – scrisse lo studioso Otto Bihalji-Merin – il vero e la rappresentazione figurativa sono una sola cosa, una relazione d’identità quale sussiste anche nei bambini e nei popoli primitivi, istintività dunque che non distingue fra immagine e realtà”.

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