Cronaca
5 Marzo 2015
Per i consulenti delle difese i protocolli di prevenzione erano addirittura in anticipo rispetto alle indicazioni regionali

Morte di legionella, si cerca il nesso causale

di Ruggero Veronese | 3 min

sant'annaSi cerca la “pistola fumante” nel processo sulla morte di legionella avvenuta nell’ex ospedale Sant’Anna nell’ottobre 2001, che vede alla sbarra per omicidio colposo i due medici Ermes Carlini e Paola Antonioli. Durante l’ultima udienza nel tribunale di Ferrara procura, parte civile e avvocati difensori hanno infatti attraverso documenti e consulenze tecniche di dimostrare o smentire il ‘nesso causale’ tra il decesso per tromboembolia polmonare e broncopolmonite della 71enne ricoverata in corso Giovecca e l’infezione da legionella che le venne riscontrata in seguito alla morte.

A negare ogni correlazione tra i fatti sono gli avvocati difensori Andrea Marzola e Andrea Toschi, che puntano principalmente su due aspetti: il rispetto nell’ospedale Sant’Anna delle linee guida regionali per la prevenzione da legionella e le effettive condizioni della paziente, già molto debilitata e potenzialmente a rischio al momento del suo ricovero. Senza contare uno degli elementi fondamentali: il fatto che le analisi della procura rilevarono sì la presenza di legionella pneumofila nei tessuti della donna, ma senza addentrarsi nell’analisi del sierogruppo specifico. Da qui la principale difficoltà a trovare la ‘pistola fumante’: il batterio della legionella infatti è talmente diffuso nell’ambiente che, senza riscontri esatti, è impossibile secondo i legali chiarire se la donna avesse contratto l’infezione quando era già ricoverata al Sant’Anna o precedentemente.

Concetti sui quali si è dilungato a lungo il consulente delle difese Roberto Cagarelli, membro del servizio sanità pubblica regionale e del gruppo di lavoro che nel 2008 dettò le linee guida per la prevenzione da legionellosi nelle strutture sanitarie. Secondo il tecnico “è impossibile dare un giudizio di alta probabilità” per quanto riguarda il collegamento tra batterio e decesso, visto che all’interno dell’ospedale vennero riscontrati 3 dei 16 ceppi del batterio esistenti in natura, ma non si conosce quale fosse presente nei tessuti della paziente. E secondo Cagarelli non si può nemmeno imputare ai dipendenti del Sant’Anna un mancato rispetto delle normative, dal momento che quelle in vigore nell’ospedale cittadino erano addirittura “in anticipo sui tempi” rispetto alle linee guida regionali emesse nell’agosto 2008. In seguito a quella data il Sant’Anna mise a punto anche uno specifico documento di programmazione triennale, la cui ultima versione risaliva al settembre 2011, un mese prima del drammatico fatto.

Un punto che ha sollevato le perplessità del pm Nicola Proto e dell’avvocato di parte civile (per conto dei familiari della donna deceduta) Alessandro Gabellone, secondo i quali la direzione dell’ospedale pubblicò un nuovo protocollo di prevenzione all’inizio del 2012, pochi mesi dopo la morte della paziente. Spetterà al giudice Attinà fare chiarezza sulle diverse ricostruzioni delle due parti, anche attraverso la testimonianza di due dipendenti della Siram (azienda che aveva in appalto le opere di manutenzione degli impianti) che verranno ascoltati durante la prossima udienza a metà aprile. Dopodiché, salvo colpi di scena, sarà il momento dell’attesa sentenza.

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