Du iu śpich frares?
4 Marzo 2015

Carapeléśe

di Maurizio Musacchi | 5 min

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Disegno di Alessandra Rizzo

Disegno di Alessandra Rizzo

Carissimi Amici,

Oggi vi propongo un racconto brevissimo, un po’ autobiografico. Da poco era terminata l’assurda, inutile, stolta (come tutte le guerre) seconda Guerra Mondiale. Il bel disegno della pittrice, ex docente del Dosso Dossi, Alessandra Rizzo, che ritrae la Chiesa di San Benedetto è troppo moderno.

La Chiesa, allora, era diroccata e solo i pilastri, pur feriti, erano ancora ritti. Il resto, tutto distrutto dalle bombe “amiche, ma non troppo” degli Alleati. Il pallone,che si contendono i due ragazzi raffigurati, è moderno: il nostro pallone era costituito da giornali accartocciati tenuto insieme, anche per dagli una forma “simil rotondeggiante”, da elastici ricavati con vecchie camere d’aria d’auto o, a volte, da spago arrotolato sulla carta. Inutile dire che i “colpi di testa” erano evitati perché la fattura, la pesantezza, gli spigoli di tali palloni, procuravano dolorose scalfitture, agli incauti che vi ci provavano!

A quei tempi, seguivamo le partite alla radio e immaginavamo i giocatori, li si mitizzava e capitava di imitarne le gesta , sentite alla radio. Noi Ferraresi potevamo vederli dal vivo “Alla Spal”, ovvero nel Campo Sportivo Comunale , oggi intitolato al Presidente storico della Serie A : Paolo Mazza. Noi s’andava a vedere un paio di film di seconda visione al Diana , Boldini o San Pietro. All’uscita tutti Ala Spal “ a urécia”, (gratis)! Anche chi non entrava perché “in buléta”,(senza quattrini,) poteva vedere i più grandi giocatori dell’epoca, gratis perché ad un quarto d’ora della fine, le porte venivano aperte al pubblico. Io vidi Carapellese, della Sampdoria e me ne innamorai. Giocava ala, proprio come me: era solo “un ciciniƞ “ più forte! Nel racconto ricordo il mio idolo: Carapellese”, lo storico radiocronista del dopoguerra Nicolò Carosio e la mamma; morta giovanissima lasciando, per sempre me, mia sorella minore e mio padre.

 

 

– E MI A “ FÀGH” CARAPELÉŚE –

 

I šarà stà su par źò i ànn źiƞquaƞta, e sul piazàl ad Saƞ Baƞdét, ‘na sbruflà ad ragazit i źugava a balòƞ con la solita bàla (par chì temp) ad stràz.

– Loris, alza la vòś dlà radio!- L’à uclà Bruno.

(Loris l’éra al vinaròl dl’ustariè ch’l’aƞ ghè più,e adèš a gh’à ciapà al pòst ‘na “paninoteca”, uƞ ad chi locàj nòv iƞsòma.)

La radio l’à fat siƞtìr apena avèrta, la vòś ch’l’an s’pol briśa dśmandgàr e scambiar coƞ n’altra, quéla dal “mito” Carosio.

-Carapellese, Carapellese, reteee! Mi correggo… quasi rete-

Nu, a jéraƞ vaƞzà paralizà da cl’urchèl, mó éƞ cuƞtinuà a saƞtir la radiocronaca infiƞ àla fiƞ.

La Nazional l’éva triuƞfà, e Carapeléśe l’era stà al trascinadòr dl’atàch cum a suźdèva sempar. Aƞ zèrt punt Zòrź al diś:

– Feƞ nà partida éra coj nom dì źugadùr dlà Nazional!-

– Va beƞ,- a jò uclà mi gasà,- però mi a vòj “fàr” Carapeléśe.-

(“Far” l’era cmè dir:- Mi a źòg in t’al post ad…)

– No,-l’à dit sùbit ch’al scuƞzamnestra ad Franchino-tiè tròp “trist”!-

E l’era vera parchè la miè “tristéza”, che in Frarèś a vòl dir anch scaršèza spurtiva, l’era purašà graƞda: cumpagna ala miè pasiòƞ par al balòƞ, par farla curta.

Mó forsi al miè lamént l’è stà tant disprà ch’l’à fat cumpasiòƞ, o forsi agh maƞcava n’ala maƞzina, elóra Dario al Capocia l’à dit!

-Mo sì par nà volta, fènal źugàr!-

Finalment! Ala maƞzina cmè Carapeléśe, o com Fontaneśi dlà Spal: che giurnàda!

L’è stà una dill sòlit partìd ch’ill duràva uƞ dop meźdì iƞtièr, e i trì scifiè finaj j’è rivà dàla màma dal miè amig Pàul ch’là svarslà!

-E lòra, viènt a žena?-

. . .

 

A cà, la fàza dnà dona ch’a m’arcord anebiàda. Forsi parchè l’era l’ultima vòlta ché a l’ avrèv vista, se noƞ par qualch śgònd a l’uspdàl…prima ché!… L’a m’à guardà, la s’è iƞrabida un po’, e l’a m’à bravà par aver ruinà un par ad scarp bianchi,(rarità in tuti i seƞs a chi temp!) …

 

“Carappa”, Carosio, al piazàl ad Saƞ Baƞdèt… clà fàza … arcòrd e invisiòn luntani!

 

FINE

 

 

RACCONTO VINCITORE DI PREMIO SPECIALE INDETTO DAL QUOTIDIANO “LA NUOVA FERRARA”:

RACCONTI IN CARTOLINA, SCRITTO IN ITALIANO E TRADOTTO IN FERRARESE:

-E IO “FACCIO” CARAPELLESE-.     -E MI A”FAGh” CARAPELESE -.

 

– E IO “FACCIO” CARAPELLESE –

 

Erano gli anni ’50 o giù di lì e sul piazzale di San Benedetto uno sciame di ragazzini giocava al calcio

con la classica (per quei tempi) palla di stoffa.:

-Loris alza la radio!- Urlò Bruno.

(Loris era l’oste della mescita vini, ora sostituita dalla più moderna paninoteca).

La radio diffuse immediatamente sullo spiazzo l’inconfondibile voce del “mitico” Carosio:

-Carapellese,Carapellese, retee! Mi correggo,quasi rete.-

Noi, paralizzati da quell’urlo,continuammo ad ascoltare la radiocronaca fino al termine. La Nazionale aveva trionfato e Carapellese era stato il trascinatore del’attacco, come gli succedeva spesso.Giorgio disse:

-Facciamo una partita vera coi nomi dei Nazionali. -Va bene- urlai entusiasta,- e io“faccio” Carapellese.-(Faccio andava interpretato con:io gioco nel ruolo di:)

-No,-disse Franchino-“tiè trop trist”.-Ed era vero poiché la mia passione era proporzionale alla mia “tristezza”, che in ferrarese stava a significare: Scarsità sportiva. Ma forse il mio appello fu tanto disperato che mosse a compassione, o forse mancava un’ala sinistra, per cui il verdetto di Dario il Carismatico fu:

-Ma sì, per una volta-…Finalmente ala sinistra come Carapellese, come Fontanesi della Spal, che giornata!

Fu una delle solite partite della durata di un pomeriggio, e il triplice fischio finale lo diede la mamma di Paolo che urlò:

-E alora vient a zzena? –

A casa un volto femminile che ricordo velatamente perché fu l’ultima volta che lo vidi, salvo una fugace visita all’ospedale, mi guardò,si rabbuiò, e una voce cancellata dal tempo e mi rimproverò aspramente per aver rovinato un paio di scarpe bianche (rarità in tutti i sensi per quei tempi).

Carappa,Carosio, il Piazzale di San Benedetto, quel Viso…ricordi lontani!

 

FINE

 

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