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2 Marzo 2015

Diventare famosi

di Gianni Fantoni | 3 min

Molti di quelli che si avvicinano al mondo dello spettacolo, inutile negarlo, hanno come obiettivo primario il “diventare famosi.” È una società, la nostra, che incoraggia questa mentalità: i talent televisivi, questa infinita sequenza di provini, dimostrano che c’è un popolo di aspiranti Grandi Fratelli, tronisti, cantantisti, karaokisti, fenomeni generici che cercano un posto al sole, una “svolta” che li renda ricchi e famosi. Così, tanto per esistere meglio o per fare semplicemente rabbia ai propri nemici, cavalcando l’invidia come un surfista le onde più alte.

Ma attenzione: essere conosciuti non significa essere riconosciuti, con esattezza di nome e cognome. Molto spesso la gente quando incontra un personaggio noto tende a confonderlo facilmente, a meno che questi non abbia un tasso di notorietà davvero alto come Fiorello o Pippo Baudo. Ma già appena sotto a quel livello si crea una pletora di interessanti episodi, e ancora più sotto è il diluvio…

A passeggio con Giorgio Bracardi, sodale di Arbore da più di 40 anni tra tv e radio, una volta ho assistito ad un signore che lo ha “riconosciuto” dicendogli: «Ah, lei è quel Branduardi là, quello che fa lo spiritoso in televisione!…»

I primi anni di televisione mi hanno fruttato una lunga serie di Sergio Fantoni: suonava più familiare di Gianni perché derivava dai tanti anni di sceneggiati Rai del mio quasi omonimo, oggi ottantenne. Le storpiature del cognome sono state più articolate: una volta a teatro, davanti ad un botteghino, un’attrice stava dettando alla cassiera il mio cognome per riservarmi un omaggio, in mia presenza. La signora scrisse PANTONI. L’attrice mi guardò scusandosi, e corresse la signora dicendole timidamente: «…ma no, con la F…» E la cassiera finalmente scrisse PANFONI.

Ad attendermi in Spagna, una mattina di più di vent’anni fa, c’era un taxista con un cartello, che ho conservato. Aspettava me e il mio chitarrista: “Señores PASTONI.” Un suono talmente bello e rotondo che ho voluto mantenerlo in qualche sketch televisivo: a “Ciro” nel 1999 facevamo una serie di feroci gag in aereo chiamate “Alisadica” e il passeggero (io) vittima di quasi tutte le angherie si chiamava (Sergio) “passeggero” Pastoni.

I primi autografi sono stati contemporaneamente gratificanti e umilianti, pur divertenti: appena scrivevo il mio nome, l’interessato emozionato diceva subito: «Grazie!…. cosa c’è scritto?…».

E comunque ho imparato a non contraddire mai il pubblico: ci rimane troppo male. Una signora, ai primi tempi del Costanzo Show, mi fermò per complimentarsi e rimproverandomi bonariamente disse: «Eh, lei!… per colpa sua la settimana scorsa sono andata a letto molto tardi! Che bravo! Da Costanzo stava facendo il mimo del portiere da calcio!…» Una cosa che non ho mai fatto in vita mia. Cercai di farle capire che non ero io, che mi confondeva con il bravissimo mimo Massimo Rocchi, ora artista internazionale. Lei mi ha fulminato con lo sguardo e, un po’ arrabbiata, ha ribadito minacciosa: «No, no! Era lei!»

Per un attimo ci stavo credendo anch’io!

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