Eventi e cultura
27 Febbraio 2015
Applaudito monologo di Giuseppe Battiston al Comunale tratto da “L’invenzione della solitudine” di Paul Auster

La solitudine di un padre

di Redazione | 2 min

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(foto di Bepi Caroli)

(foto di Bepi Caroli)

di Federica Pezzoli

Giovedì sera con l’adattamento teatrale de “L’invenzione della solitudine” dell’americano Paul Auster, Giorgio Gallione e Giuseppe Battiston hanno portato sul palco del Teatro comunale ‘Abbado’ uno spettacolo centrato sulla riflessione sul legame contradditorio tra padri e figli.

Il rapporto con il pubblico viene creato da subito, quando Battiston-Paul dà inizio al monologo illuminato nel buio della platea e sembra voler guardare negli occhi di ciascuno. Poi, in un’atmosfera di lutto che perdura per tutto lo spettacolo grazie alle suggestive luci di Aldo Mantovani, sale sul palcoscenico ingombro di scarpe e di vestiario, “spettri che si ritrovano a vivere in un mondo che non è più il loro”, uniche tracce visibili del passaggio nel mondo di “un uomo invisibile”, “dominato dall’indifferenza”, così Paul descrive il padre appena morto. Un pieno che sembra voler creare un contrasto straniante con “il vuoto”, “l’assenza” del mondo interiore del padre, genitore lontano, impenetrabile, da sempre sottrattosi a qualsiasi dialogo con il figlio: “mio padre mi vedeva solo attraverso la sua solitudine, un’ombra che appariva e scompariva in una regione non illuminata della sua coscienza”. Un’assenza e una solitudine che sembrano perpetrarsi per Paul, a causa del divorzio dalla moglie, nella mancanza del suo piccolo Daniel.

Riordinare quegli indumenti, involucri destinati a non essere più indossati, diventa così il pretesto per aprire capitoli dimenticati della propria esistenza ed essi si trasformano in motori del ricordo, come quelle cravatte appese, che cadendo una a una narrano la progressiva reale presa di coscienza della morte del padre da parte di Paul. E nello stesso tempo Paul si trova a riflettere sulla sua stessa esperienza di paternità e sul proprio rapporto con il figlioletto Daniel, raggiungendo l’apice del pathos con il racconto della sua malattia: “se per curarlo fosse stato necessario morire l’avrei fatto volentieri, in quel momento ero diventato il padre di mio figlio”. Dunque se il padre non gli ha concesso di essere un figlio, è suo figlio a legittimarlo come padre.

Giuseppe Battiston, diretto magistralmente da Giorgio Gallione, conferma la capacità di cimentarsi con la forma del monologo, delineando il profilo di un padre mancato e il tentativo di un uomo di essere padre fra riflussi di rabbia e indignazione e momenti di infinita dolcezza. Originale la soluzione scenica di Guido Fiorato: una parete inclinata che, a seconda delle esigenze registiche, diventa specchio, finestra sul mondo, squarcio dal passato. Infine, ultimo ma fondamentale ingrediente di un mix ben bilanciato, le note al pianoforte di Stefano Bollani, che sottolineano i passaggi narrativi e i momenti di maggiore pathos.

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