Eventi e cultura
16 Febbraio 2015
Il maestro, sacerdote e politico che ha rivoluzionato l’istituzione scolastica al centro di un dibattito

Don Milani, maestro di parola e povertà

di Redazione | 5 min

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IMG_1236di Roberta Pira

La vita breve ma intensa di un sacerdote austero, severo, poco comune, nonché maestro di parola e povertà, al centro di una conferenza partecipata che ne restituisce i tratti salienti della persona e dell’operato, incentrato sul tentativo fino alla fine perseguito di costruire un’ideale di società civile più giusto e inclusivo. Ad aprire il dibattito Fiorenzo Baratelli che ripercorre alcuni degli episodi più salienti della vita di don Lorenzo Milani, consigliando a chi fra i presenti in sala volesse approfondire le proprie conoscenze sul personaggio, di leggere quella che egli stesso definisce “la più bella e completa biografia di Don Milani”, dal titolo “Dalla parte dell’ultimo” di Neera Fallaci.

Don Milani (1923-1967) muore alla giovane età di 44 anni e nasce da una famiglia di agiate condizioni economiche. “Il più illustre antenato della famiglia Milani – racconta Baratelli – è il bisnonno paterno Domenico Contanetti, uno dei nostri più grandi filologi che conosceva 19 lingue. E se pensiamo alla centralità della parola e della lingua in Don Milani, questa è certo una circostanza biografica alquanto significativa. Pare inoltre che in famiglia uno dei passatempi usuali fosse quello di giocare con le parole e i loro significati”. Non a caso le due più grandi passioni di Don Milani erano proprio i “poveri” e la “parola”. Egli insegnava ai contadini e agli operai, aveva messo da parte tutte le altre materie per dedicarsi all’insegnamento esclusivo della lingua italiana e delle lingue, richiamando continuamente alle etimologie e sezionando le parole come fossero persone con una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi e un deformarsi. “La vita di don Milani come personaggio pubblico – riprende Baratelli – si sviluppa nell’arco di 24 anni, suddivisibili in tre fasi: gli anni del seminario (1943-47), l’incarico di vice-parroco a San Donato di Calenzano, un piccolo comune di Prato, vicino Firenze (1947-54) e infine, a seguito dei contrasti con la curia di Firenze, l’incarico a Barbiana dove iniziò a occuparsi di scuola a tempo pieno”.

Dopo questo breve excursus biografico sul personaggio, inframmezzato dalla lettura di alcuni stralci di lettere scritte da Don Milani in merito alla formazione dei sacerdoti in seminario, la parola passa a Daniele Ciavolani, presidente Anpi e ideatore dela conferenza “che avendo svolto per la maggiorparte della sua vita l’attività di educatore -specifica Baratelli – era la persona più adatta a parlare del personaggio”. Ciavolani esordisce dicendo che parlare di don Milani, per lui è come parlare della propria madre. “Ho letto per la prima volta don Lorenzo – racconta – nel lontano 1970, fra le mura di una caserma a Bari dove facevo servizio militare. Trascorrevo le mie serate a leggere le lettere dei miei compagni di plotone: eravamo in tutto 33, di cui 21 analfabeti. Da lì capii quanto fosse comune la mancanza d’istruzione e così l’anno dopo feci il concorso per maestro e lo vinsi. Questo è un primo parallelismo fra la mia e la vita di Milani”. Parlando del personaggio Ciavolani sottolinea quanto egli si vergognasse della propria ricchezza, al punto che la mattina faceva fermare la macchina prima del cancello di scuola per non farsi vedere dai compagni. Sin da piccolo, dunque, era evidente il suo voler stare dalla parte degli ultimi; secondo lui la scuola avrebbe dovuto permettere il livellamento sociale e consentire a persone con difficoltà di base di arrivare allo stesso livello degli altri.

“Se la scuola non serve a rendere uguali, la scuola è un ospedale che cura i sani ed esclude i malati”, questa la frase di don Lorenzo su cui Ciavolani invita i presenti a riflettere per comprendere cosa significasse per lui fare scuola. Radunare i contadini, gli operai, la gente senza casa e senza lavoro e partire dalla lettura del giornale per far loro capire le parole della borghesia, “perché – spiega Ciavolani, citando Milani – la lingua la fanno i poveri e la cambiano continuamente. I signori invece la lingua la cristallizzano per prendere in giro i poveri e lasciarli al loro posto”.

Un episodio su cui si è incentrata buona parte della conferenza riguarda la lettera che nel’53 don Milani scrive contro la Democrazia Cristiana, suscitando l’indignazione della curia di Firenze che lo manda a fare il sacerdote a Barbiana, in una parrocchia di montagna. “Se infatti – spiega Ciavolani – parliamo di don Milani oltre che parlare di scuola finiamo per parlare di politica. Don Lorenzo riteneva che non si potesse imporre la stessa legge agli uni e agli altri e si chiedeva come la gente potesse continuare a votare Democrazia Cristiana, dopo che quello stesso governo per anni invece che cambiare le cose aveva continuato a lasciare il popolo in condizioni di miseria e povertà”. Un tono piuttosto polemico, graffiante, provocatorio e inusuale per un sacerdote, ma che evidenzia la sua volontà di scardinare il sistema vigente per farsi portavoce di un nuovo messaggio pedagogico, sociale e politico. La sua è una prosa asciutta, stringente, tagliente come emerge da alcuni stralci di tre dei suoi scritti menzionati e brevemente descritti da Ciavolani nel corso del dibattito: “Lettere a una professoressa”, un libro di estrema attualità e dal carattere quasi profetico; “L’obbedienza non è più una virtù” e una lettera incompiuta a un amico, dal titolo “Università e pecore”.

Più volte è stato sottolineato durante la conferenza la difficoltà di concentrare in poche battute la vita di un personaggio del calibro di Don Milani. Ma quanto è stato detto è bastato per delineare e comunicare il ritratto di un uomo che ha lottato per ciò in cui credeva fino alla fine dei suoi giorni. Un uomo che si è ostinato a portare avanti il diritto alla disobbedienza o comunque a un’obbedienza secondo coscienza, ideale fondamentale della sua vita di persona, maestro e parroco.

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