Pensieri stringati
20 Gennaio 2015

Numero 10

di Paolo Simonato | 5 min

Esco di casa.

Tra il “clack” del portone alle mie spalle e la prima falcata si colloca l’ultimo giro dei controlli: la linguetta della scarpa destra è leggermente spostata di lato, e la riconduco al centro; stringhe delle scarpe, chiusura dei pantaloncini, chiavi di casa, nodo del fazzoletto legato al collo, maglietta e sottomaglietta, cronometro al polso, guanti, liquirizia in bocca tra i denti e la guancia sinistra, tutto a posto. Rassicurato mi avvio al mio appuntamento, lanciando per prima la gamba destra.

Come al solito io e Luca arriviamo contemporaneamente all’alberone, entrambi puntualissimi; ci salutiamo, ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) e iniziamo a parlare come se non ci vedessimo da ieri, anche se purtroppo l’ultima corsa assieme risale a un mese fa.

“Ho verificato on-line l’iscrizione alla Maratona di Stoccolma!” mi dice tutto contento “e sai che pettorale mi hanno assegnato?”

“No, che pettorale hai?”

“Il 12321”.

“… e quindi…?” faccio io già pregustando in cuor mio il tipo di argomentazioni che il mio compagno sta per sfoderare.

“Il 12 è il mio numero fortunato, e il 321 è la parte numerica della targa della mia auto. Inoltre 12321 è un numero palindromo, ossia che risulta uguale sia leggendolo da sinistra a destra che da destra a sinistra”.

“E cosa ne deduci?”

“Mi sembrano ottimi auspici per la gara!”

“E perché?” domando io mentre percorrendo la breve discesa che parte dall’ufficio postale di San Giorgio ci immergiamo nella atmosfera umida e suggestiva del sottomura.

“A parte l’ovvio segnale positivo rappresentato dal 12, il fatto che il pettorale comprenda il numero della mia targa potrebbe significare che andrò veloce come una macchina!”

“E il fatto che sia palindromo che vuol dire?” lo incalzo.

“Che sono così in forma che potrei fare la gara due volte, ad andare e venire”.

Ci facciamo una risata. Io e Luca in fatto di precisineria ci assomigliamo molto, ma la sua si declina spesso sul versante numerologico, la mia su quello delle simmetrie, dell’ordine e del controllo.

“Credi che stia esagerando?” mi domanda.

“Non so se sono la persona giusta a cui fare questa domanda… ma ti dirò che la nostra società è praticamente fondata sull’ordine e il rituale, e quindi sull’ossessività!”

“Addirittura? In che senso?”

“Se ci pensi tutte le tappe grandi e piccole della vita di ciascuno sono ritualizzate: la nascita, il battesimo, la scuola, gli esami, il diploma, la laurea, il matrimonio, la nascita di figli, il lavoro, gli hobbies, il pensionamento…”

“Il funerale” aggiunge lui.

“Certo, pure il funerale: perché i rituali servono anche per elaborare collettivamente un dolore”.

“E nella vita di tutti i giorni” fa lui proseguendo il mio ragionamento “alzarsi al mattino, lavarsi, vestirsi, salutare le persone, pianificare lo studio, il lavoro, il tempo libero…”

“Per esempio approntarsi ad una corsetta” aggiungo avendo ben presente la mia preparazione di poco prima “E anche il piacere per i numeri e gli elenchi rientra in questa mentalità”.

“Eh già” dice Luca “come il gioco dei 100 ‘quelli che…’ della mura che abbiamo fatto tempo fa…”.

Abbiamo da poco lasciato alle nostre spalle la bizzarra fattoria urbana piazzata nel sottomura, piena di galli e galline, e attraversiamo via Bologna.

La nebbia è ancora più fitta, e sfuma con eleganza la luce violenta dei fari delle macchine.

“Si potrebbe addirittura dire – proseguo – che il complesso di regole e nozioni che raggruppiamo sotto la parola ‘educazione’ – intesa sia come norme di comportamento che regolano le relazioni tra gli individui sia come lo sviluppo di una persona – possa essere visto come un addestramento all’ossessività, o un rinforzo dei tratti ossessivi di ciascuno”.

Ci avviamo verso la stazione delle corriere e Luca riflette.

“In effetti da un certo punto di vista più si è ossessivi meglio è, nel senso che spesso è un tratto premiante, nello studio e nel lavoro”.

“Infatti Mascia, che ossessiva non è, ha elaborato una teoria complottistica, quella del D.O.C. – Power”.

“E sarebbe?”.

“D.O.C. è l’acronimo di Disturbo Ossessivo Compulsivo; lei sostiene che in realtà, sotterraneamente, le redini del mondo siano rette da una consorteria di fanatici ossessivi, che lei detesta cordialmente, e che risponde appunto al nome di D.O.C. – Power, Potere Ossessivo”.

“Poveretta! E come se la passa con te?”

“Ogni volta che le rimprovero il suo disordine si ripromette di fondare una associazione, le “Vittime del D.O.C. – Power”, per intraprendere una class action volta allo scopo di ottenere un risarcimento per i danni psicologici causati dal D.O.C. . Power…”

Trascorriamo il resto della corsa passando in rassegna le nostre piccole ossessioni, con crescente compiacimento. Il percorso da Viale Belvedere alla casa del boia, da Porta Mare fino all’alberone non è sufficiente ad esaurirle.

“Insomma se ci fosse più ossessività sarebbe un mondo migliore” conclude Luca.

“Esatto!” gli faccio eco io “Viva il D.O.C. – Power!” e per suggellare tale assunto ci salutiamo con il solito rituale dell’abbraccio.

Rientro a casa e mentre sto infilando le chiavi nel portone sento arrivare l’auto della mia compagna che è andata a prendere Milla a scuola.

Mascia parcheggia e fa scendere la bambina, che mi corre incontro a braccia aperte.

La abbraccio mi accorgo che il cappotto nuovo e i pantaloni regalati dai nonni sono completamente infangati.

“Milla, cosa hai combinato?” le chiedo “Sei tutta sporca!”.

“Oggi le maestre ci hanno fatto esplorare il giardino” mi spiega lei tutta eccitata.

“Mascia, ma come si fa?” domando alla mia compagna “guarda come è conciata!”.

“Li laverò” mi ribatte “d’altronde sai cosa ha risposto la Rita a una mamma che si lamentava con lei dello stesso problema? Ha citato la Montessori: ‘Se andate a prendere il vostro bambino a scuola ed è tutto pulito, significa che non ha imparato niente’”.

“Ma che razza di…” mi sfugge.

Ma già mentre sto imprecando mi rendo conto di quanto invece la frase sia profondamente vera: le regole, l’ordine e la pulizia sono certo molto importanti, ma forse se non facessimo altro che appiattirci su questi aspetti non faremmo che ripetere ciò che già sappiamo e non apprenderemmo mai nulla di nuovo.

Guardo Milla che, a causa della mia reazione, ha perso il suo entusiasmo perché teme di avere fatto qualcosa di sbagliato. Le sorrido e lei torna a sorridere.

“E che cosa avete scoperto in giardino?” le chiedo.

Questo post è dedicato alle insegnanti, ai genitori e ai bambini delle Scuole Materne “Pacinotti”, “Rossa” e “Jovine” e alla loro lotta contro la esternalizzazione; perché sono scuole dove si impara a essere ordinati ma anche a sporcarsi.

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