Lettere al Direttore
1 Dicembre 2014

Addio Romana, pr’an dsmangàr d’arcurdàr

di Redazione | 3 min

A fine 1997 si allontanava dalla scena artistica ferrarese (e da quella della sua vita) Giuseppe Simoni, uno dei migliori attori in lingua dialettale del nostro teatro, bravo anche in lingua italiana.

Aveva iniziato giovanissimo, con una delle compagini più antiche, la favolosa Filodrammatica Estense, attiva dai primi anni del ’900 – suoi erano gli attori del primo cortometraggio muto girato in città – che alla fine degli anni Quaranta, dopo i disastri della guerra, si andava ricomponendo nella vecchia sede di via Contrari, sotto la guida del direttore, l’attore Alfonso Makain. Da lì la compagnia si trasferì varie volte per approdare, alla fine, in via Mortara, all’ex-Squarzanti, dove rimase fino al 1965, data dello scioglimento definitivo.

Gli attori più appassionati non si diedero per vinti e si associarono alla STRAFERRARA, fondata dal cavalier Ultimo Spadoni nel lontano 1931.

Sulle tavole del palcoscenico dialettale, dove entrambi attori, recitavano, ebbe inizio la storia d’amore di Giuseppe e di sua moglie Romana Vecchi: si innamorarono e, come in tutte le favole che si rispettino, vissero e lavorarono sempre insieme, interpreti d’eccezione delle migliori commedie che ‘fanno’ la tradizione del nostro teatro in vernacolo, le più classiche come La Castalda, giusto per citare il caposaldo della nostra drammaturgia, trasposta nel 1902 – dunque oltre cento anni fa – dalla veneziana Locandiera di Carlo Goldoni dal maestro Giovanni Pazzi, in cui Romana recitava la parte di protagonista – la migliore insieme con quella indimenticabile, ‘su misura’ di Erge Viadana – e Giuseppe quella dal Ssgnór Tabalòri, incisiva da vero caratterista, personaggio archetipico e simbolico quanto mai, ricorrente in altri drammi ed entrato a far parte del tessuto cittadino a pieno titolo, vista l’usata espressione al ssgnór Tabalòri, entrata nella parlata di tutti i giorni, per definire una persona con problemi nei rapporti con gli altri e…con se stesso.
Assieme alla moglie, al figlio Francesco, alla nuora ed alle nipotine Giulia e Martina – le ultime due generazioni ovviamente coinvolte più tardi –fondò, nel 1970, un regno mitico, di fiaba, creando e dirigendo, per tanti anni, la compagnia “Città di Ferrara” (in omaggio, per l’omonimìa, ad un’altra compagnia dialettale scomparsa) che, ancora continua, con incredibile successo, la sua fiabesca attività tutto l’anno, nonostante la persona e la maschera di Giuseppe Simoni non recitino più ormai da tempo.

In una delle ultime interviste Giuseppe Simoni, con l’affettuoso e sensibile candore che lo contraddistinguevano aveva asserito: “Il nostro repertorio comprende una ventina di commedie, molte delle quali scritte da mio figlio, premiato più volte per questa sua creatività aggiunta. I protagonisti delle nostre rappresentazioni, favole per bimbi ed adulti, sono, usualmente, le maschere dell’area emiliano – veneta: Fagiolino, Sandrone, Pantalone, Brighella, Arlecchino, Balanzone, ma il prediletto rimane sempre Fagiolino, eroe buono per antonomasia, senza macchia e senza paura. Le nostre sono favole moderne contro l’inquinamento, parlano di convivenza fondata sull’amore, sul rispetto, reciproco tra esseri umani e verso gli animali, senza retorica, con molta semplicità…”.

Aveva un sogno nel cassetto, purtroppo ancora irrealizzato: aprire a Ferrara un “Museo del Burattino”in cui avrebbero potuto trovare sicuro rifugio tutti i suoi fondali, i suoi burattini, le sue attrezzature, gli oggetti più antichi e di valore di quell’altrettanto antica arte del burattinaio da lui e dai suoi cari raccolti in tanti anni di immutata passione.

E lunedì mattina scorsa è mancata anche Romana, l’adorata moglie: speriamo che quel sogno venga realizzato in futuro, pr’an dsmangàr d’arcurdàr lui, Giuseppe, lei, Romana e ‘quella’ passione che, per fortuna, il figlio Francesco e la moglie continuano, a tutt’oggi, a far vivere, ancora…

Maria Cristina Nascosi Sandri

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