Eventi e cultura
24 Novembre 2014
Paola Bassani ricorda l’avvocato che recuperò i monumenti per riportarli a Ferrara

Carlo Sinigallia, il ‘papà’ dei leoni del Duomo

di Redazione | 3 min
Leoni originali del duomo di Ferrara a Santa Maria di Fabriago

Leoni originali del duomo di Ferrara a Santa Maria di Fabriago

di Anja Rossi

“Ferrara l’aveva profondamente deluso”. È con queste parole che la nipote Paola Bassani ricorda il nonno materno Carlo Sinigallia, l’avvocato ferrarese che recuperò i leoni del Duomo per riportarli a Ferrara, ma che la città non aiutò dopo la tremenda crisi economica del ’29. Carlo Sinigallia, nato nella città estense nel 1880, è uno dei molti esempi del forte radicamento che le famiglie italiane di origine ebraica nella società del tempo avevano con la città estense, fino a prima dell’istituzione delle leggi razziali. È seguendo questo filo che si è oggi parlato del mecenate Carlo Sinigallia, presso il museo del Risorgimento e della Resistenza. Insieme a Paola Bassani, presidente della Fondazione Giorgio Bassani e figlia dello scrittore ferrarese, sono intervenute la presidente dell’associazione Arch’è Silvana Onofri, l’archeologa Valentina Bonaccorsi e la storica del museo del Risorgimento e della Resistenza Antonella Guarnieri, che hanno ricostruito gli eventi e raccontato delle controversie che riguardarono in passato i leoni del Duomo di Ferrara.

Nel 1925 Carlo Sinigallia decise di far tornare a casa i leoni del Nicholaus e altri ornamenti del Duomo ferrarese, che erano stati “acquistati” a una cifra irrisoria dal duca di Fabriago Galeazzo Massari nel 1882, per adornare il proprio casale di Santa Maria di Fabriago. “Sinigallia acquista la tenuta agricola dei Massari e dona alla città di Ferrara i suoi leoni – spiega Silvana Onofri –, che voleva fossero conservati nel museo archeologico”. Questo però non avvienne: i leoni vennero riportati in Duomo e non al museo. L’avvocato ferrarese, al quale non era stata nel frattempo concessa la licenza per il commercio del pesce e che era fortemente in crisi, decise di voler rendere nulla quella donazione, generosa quanto sofferta.

La vicenda di Carlo Sinigallia, avvocato e commerciante ferrarese di origine ebraica, diventa dunque l’emblema della società ferrarese di origine ebraica d’allora, “che si inserisce in quel periodo che intercorre tra lo spirito nazionalistico e senso di appartenenza dettato dai fervori della prima guerra mondiale fino al periodo che precede l’introduzione in Italia delle leggi razziali” ha sottolineato Antonella Guarnieri, riportando gli elementi storici per comprendere la vicenda. “Sinigallia – continua la storica – era una figura estremamente inserita e attiva in città, per questo l’importanza della donazione dei leoni alla città è da vedersi non solo come amore per l’arte, ma come ulteriore patto con la sua città di appartenenza, Ferrara”.

Alla nipote spetta l’analisi più critica dell’intera vicenda. “Mio nonno intentò un processo non per soldi, ma per delusione”, spiega commossa la Bassani. “Arrivò al processo perché sperava fino alla fine in un do ut des con il Comune ferrarese, che l’aveva fortemente amareggiato non concedendogli la licenza in un momento di profonda povertà e facendolo trasferire con la famiglia a Pola. Mio nonno è morto di crepacuore nel 1935, senza ottenere nulla dalla città per la quale aveva fatto tanto”. Il processo si concluse con la vittoria di Sinigallia e un risarcimento, ma sentendo ancora oggi la voce rotta della nipote mentre parla di suo nonno, quello che avrebbe voluto il mecenate dalla sua città d’origine era indubbiamente ben altro.

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