Eventi e cultura
23 Novembre 2014
Al De Micheli tutto esaurito. Su Cucchi: “la sorella ha avuto il coraggio di rompere la palla di vetro dell’indifferenza”

Paolo Rossi, superato in comicità dai politici, diventa Arlecchino

di Redazione | 3 min

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Paolo Rossi in "Arlecchino" (foto di Valeria Palermo)

Paolo Rossi in “Arlecchino” (foto di Valeria Palermo)

di Federica Pezzoli

Copparo. Con quella sua espressione da Giamburrasca e con quelle sue movenze da burattino, poteva sembrare strano che finora il saltimbanco del teatro italiano Paolo Rossi non avesse ancora affrontato il personaggio di Arlecchino, la maschera comica per eccellenza. Lo fa con questo spettacolo, frutto di un lavoro di ricerca partito dai suggerimenti di Strehler, passato per “Opinioni di un clown” di Böll e per lo Zanni della commedia dell’arte italiana, fino ad arrivare all’Alichino diavolo dantesco, a quell’Arlequin che va avanti e indietro dall’aldilà, perché questo è l’unico modo per avere a che fare realmente con i sogni.

L’Arlecchino di Rossi è “sulfureo”, pieno di difetti: vigliacco, ma anche furbo, insolente, ironico.  “L’idea mi è venuta perché soffro di insonnia – racconta Rossi sul palco – e stando sveglio di notte mi è balenanta l’idea di portare Arlecchino in ambito teatrale”. A ricordare il costume tradizionale di questa maschera dai tratti tanto umani sono i colori dei post-it appiccicati sulla giacca che Rossi indossa in scena: gli servono per ricordarsi gli argomenti da trattare. Fil rouge dello spettacolo: proposte commerciali dal proprio repertorio adattabili per ogni tipo di occasione, matrimoni o divorzi, addii al celibato e nubilato, battesimi o funerali, circoncisioni, villaggi vacanze, sagre e feste paesane, perché in tempi di crisi i commedianti sanno che bisogna adattarsi.

Questo Arlecchino è un assemblaggio in divenire di monologhi, di repertorio ma anche molti nuovi, canzoni, fra le quali alcuni inediti di Gian Maria Testa, fatti personali, ricordi, sogni, storiellette e riflessioni sia sulla professione del comico oggi sia su quel che accade oggi. Ogni sera diverso, perché ogni sera diverso è il pubblico, con il quale Arlecchino-Rossi interagisce forse ancora più del solito. Fedele alla sua maniera, Rossi confeziona uno spettacolo in cui realtà e finzione si mescolano senza soluzione di continuità.

Così per più di due ore un Paolo Rossi più funambolico e lunare che mai guida il pubblico che riempie il Teatro De Micheli su queste montagne russe dell’improvvisazione, accompagnato ancora una volta nelle sue visioni e nelle sue narrazioni dai Virtuosi del Carso: Alex Orciari al contrabbasso, Stefan Bembi alla fisarmonica e l’inseparabile chitarrista Emanuele Dell’Aquila. Questo “Arlecchino”, come il precedente “L’amore è un cane blu”, non è uno spettacolo di satira politica “perché non si può fare la parodia di una parodia, rischiando che l’imitato ti imiti a sua volta”: pochi accenni a “Matteo I” e uno solo al “collega ex presidente del Consiglio” che avrebbe rovinato la tradizione italiana delle barzellette.

È però uno spettacolo politico perché tratta di problemi reali, come quando Rossi racconta la storia di Stefano Cucchi e della sua coraggiosa sorella che “ha avuto il coraggio di rompere la palla di vetro dell’indifferenza”.

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