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23 Novembre 2014

Ragazzi cari, vi odio

di Francesca Boari | 6 min

In anteprima per Estense.com, ecco l’introduzione del mio ultmio libro, scritto a quattro mani con Andrea Bonvicin. Il titolo prende spunto da un famoso scritto di Pasolini.

 

 

RAGAZZI CARI, VI ODIO

“Mi dispiace .La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, cari.

Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati:peggio per voi.

Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni)vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio goliardico) il culo. Io no, cari.

Avete facce di figli di papà.

Vi odio come odio i vostri papà.

Buona razza non mente.

Avete lo stesso occhio cattivo.

Siete pavidi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. (…)”

(Vi odio, cari studenti… di Pierpaolo Pasolini, pubblicati nel 1968 prima su “L’Espresso” e subito dopo sulla rivista “Nuovi argomenti”)

 

 

 

 

Mi sono sempre occupata di voi, ho vissuto per e con voi per molti anni.

Ho scelto questo mestiere così incompreso e difficile che è l’insegnamento quando avevo poco più dei vostri anni e l’ho esercitato in mezzo a voi, considerando la cattedra più uno strumento di distanza che uno strumento didattico. E così vi sono venuta vicino, più vicino che ho potuto, mantenendo sempre quella distanza necessaria da un ascolto.

Ho inciampato nei vostri deserti emotivi, ho calciato più lontano che ho potuto le vostre paure e le vostre ansie riducendole alla realtà, vi ho soffiato le parole dei saggi sugli occhi, sulle labbra e sui cuori, spesso aridi e inadatti alla vita. Ho creduto nelle vostre lacrime e asciugato con il mio sudore il vostro. Mi sono sempre messa dalla vostra parte con umiltà e pazienza. Ho creduto che avrei, nel mio immenso piccolo, potuto contribuire a formare stomaco e muscoli dentro quei corpi fragili che incrociavano le mie giornate. Vi ho amato.

Oggi vi odio.

Affermazione forte? Eccessiva? Fuori tempo?

Non importa. Ho bisogno di scrivervi e dirvi cosa penso di voi.

Ho riflettuto a lungo e sono arrivata anche io, con i tempi del mio cuore e della mia testa, ad una conciliazione definitiva. Strano a dirsi questa conciliazione si traduce in odio.

Durante una lezione, nel maggio di questo difficile anno 2014, mi sono incontrata con un grande profeta, di cui tante volte, oggi so inutilmente, abbiamo parlato insieme. Vi ho fatto vedere anche il suo “Edipo”, film di straordinaria attualità. Sì, Pierpaolo Pasolini. Ho riletto un articolo che lui scrisse nel lontanovicino maggio del 1968 a Roma, a seguito di uno scontro piuttosto violento che si manifestò a Villa Giulia, facoltà di Architettura, tra studenti contestatori e polizia. Era uno dei primi sintomi del fascino della violenza che nel movimento studentesco coabitava con il dibattito semplicemente ideologico. E i giovani di quegli anni erano confusi almeno quanto voi perché effettivamente combattevano, non risparmiandosi disprezzo e odio, una generazione, quella dei loro padri, perché volevano l’emancipazione, senza conoscere il vero significato di questo termine che ponevano ad alta voce come obiettivo a giustificazione di qualsiasi mezzo.

Emancipazione?

In un delirio collettivo che li ha avvolti come la nebbia in una confusione di intenti e nella inevitabile perdita di vista del fine dell’agire, anche loro, proprio come voi, sono diventati strumento del potere, di quel potere che voi oggi tanto negate senza conoscere le radici della giustizia e la differenza tra il bene e il male.

L’ignoranza genera mostri, e mostri sono stati loro, come lo siete voi.

Dite che non desiderate la vita dei vostri genitori e poi non riuscite a prendere un autobus, ad arrivare puntuali a scuola, a rispettare il dovere dello studio, a riconoscerlo come una forma autentica di emancipazione e di critica credibile. Vi vestite con i loro stessi abiti, li rubate dai loro armadi borghesi e non determinate il vostro corpo con un gusto che abbia radici solo dentro di voi. Vi emancipate solo in gruppo, quando siete soli siete smarriti e silenziosi. E non fate pena, no, piuttosto rabbia e orrore. Siete involucri, materia svestita dell’essenziale, ombre, senza occhi, senza sorriso, senza rossore e pallore. Siete il niente che annunciava Zarathustra dentro la scrittura di Friedrich Nietzsche. Impossibile accendervi se non per un istante.

E poi ritornate nel vostro spazio a dis-abitare la vostra vita e pensando, oltretutto, di essere migliori di quei padri che uccidete ogni giorno con una esistenza inodore.

Non sto prendendo le difese degli adulti che vi intralciano quando non vi servono più.

Sto cercando di spiegare a me stessa le radici di questo sentimento opposto a quello che ho sempre sentito per voi.

Ho dei ricordi meravigliosi di alcuni di voi che hanno dimostrato con il tempo quello che davvero volevano essere. Perché?

Lo sono diventati e, guarda caso, amavano i loro genitori, nel bene e nel male, hanno saputo amarli e diventare loro, esempio, nei fatti, di quanto non erano riusciti, nonostante lo sforzo, a diventare loro. Questa è la battaglia che vi si chiede. Da sempre. Non mi interessano i lamenti. Non mi interessa più il vostro lasciarvi andare sopra scuse che non hanno senso.

Mi interessa, invece, la forza. Dovete rialzarvi. Dovete camminare ed essere fedeli alla terra. Dovete amare la vita. Piegarvi su quello che vi ritorna comodo fa di voi, ancora una volta nella storia, uno strumento di potere. Vi rende esattamente come qualcuno vuole che siate. Inoffensivi e arresi.

La storia è segnata solo da chi ama il tempo e lo vince nell’agire quotidiano, riempiendo di senso le giornate che si avvicendano una sull’altra e tra la nostra pelle.

Le vostre lacrime devono innaffiare una terra oramai disabitata. Devono tradurre passione e non rimanere confinate in una disperazione da cui solo voi potete uscire.

La letteratura e la filosofia dovrebbero essere strumenti non di erudizione ma di trasformazione del reale.

Rispondete sì, finalmente. Sì alla vita che negate nelle vostre scelte che sono non scelte, amatevi, ballate e costruite nella musica un tempo diverso, animato di amore e pace. Soprattutto siate onesti con voi stessi, non nascondete il vostro disagio in gesti irrazionali e autodistruttivi. Siate contagiosi.

Ho conosciuto Andrea. Ho costruito insieme a lui, per voi, noi, questo diario epistolare.

Andrea ha vent’anni. Andrea si è accorto improvvisamente che stava male ed ha avuto il coraggio di elaborare questo stato d’animo. Andrea è arrabbiato. Andrea non sa perché sta così male ma vuole riuscire a determinare il suo senso. Ci sono altri Andrea tra di voi.

Sono certa di quello che scrivo. Abbiate il suo coraggio. Leggetelo e che da questa lettura possano riaffiorare forze ed energie naturali, che abitano dentro di voi senza che sappiate trovare loro uno spazio in cui lasciarle andare libere.

Sciogliete il mio odio e traducetelo nel suo contrario.

Non mi pento, ne tanto meno mi vergogno di questa dichiarazione forte con cui cerco disperatamente l’ultimo ascolto. Di certo il mio odio nasce solo dall’amore. Grazie Andrea, goccia in mezzo all’Oceano, che mi sei venuto a cercare e attraverso le tue lettere hai nutrito questa ultima speranza.

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