Economia e Lavoro
31 Ottobre 2014
La Femca-Cisl insorge contro Ifm, che ha rifiutato l'aspettativa non retribuita per un lavoratore in difficoltà

Ammalato gravemente, scaricato dall’azienda

di Ruggero Veronese | 3 min

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petroUn dipendente del petrolchimico gravemente ammalato da più di un anno viene “scaricato” dall’azienda, che scaduto il periodo di comporto contrattuale ha cominciato a preparare le carte per il suo immediato licenziamento. L’azienda è la Ifm, consorzio di servizi a cui aderiscono le principali ditte insediate negli stabilimenti ferraresi (Basell, Eni e Yara). Il dipendete è un 40enne ferrarese assunto con mansioni di guardiano e portinaio al petrolchimico. E che ora, dopo 18 anni di servizio, rischia di ritrovarsi senza alcuna prospettiva futura proprio nel momento di maggiore difficoltà, mentre lotta contro una grave malattia che lo ha costretto a un anno di assenza per ricevere le cure.

A portare alla ribalta la situazione è il sindacato Cisl-Femca, che chiede all’azienda “un atto di responsabilità morale e sociale per il proprio dipendente”. E il dettaglio da sottolineare con più attenzione è quello sull’alternativa sostenuta dal sindacato: mettere il lavoratore in aspettativa non retribuita, in modo che le sue difficili vicende personali non vadano a discapito dell’azienda ma che, allo stesso tempo, possa riprendere a lavorare quando le sue condizioni di salute lo consentiranno. Una proposta già avanzata dallo stesso dipendente ma rifiutata dai vertici della Ifm, ma per la quale il sindacato promette di dare battaglia. “Si tratterebbe di una via d’uscita, peraltro economicamente non onerosa – sostiene il segretario provinciale Femca, Stefano Mantovani -, a una persona, prima che a un lavoratore, che affronta un momento di seria difficoltà. In questo caso a nostro parere si poteva fare la scelta, probabilmente non difficile per un’azienda di queste dimensioni, di aiutare il più debole, anzichè nascondersi dietro la freddezza delle regole”.

Il discorso insomma non è legato a obblighi o impegni non rispettati dalla Ifm: essendo stato superato il periodo di comporto contrattuale, l’azienda non ha l’obbligo di mantenere il posto di lavoro. “Ma quando una persona si ammala seriamente – affema Mantovani -, e non si tratta di quell’assenteismo strutturale da combattere, per citare una frase del Sig. Squinzi presidente di confindustria, riteniamo sia d’obbligo intervenire tutti: azienda, sindacato e istituzioni locali per farci carico, in primis nella nostra coscienza, ma anche materialmente, secondo le nostre possibilità, di aiutare chi in una particolare fase della propria vita si trovi in reale difficoltà, offrendogli una concreta chance di “rialzarsi in piedi”. In questo caso è avvenuto l’opposto: il gruppo apicale della Ifm ha messo a casa il dipendente ammalato senza dimostrare alcuna comprensione, evidentemente ritenendo che la cosa migliore da fare sia licenziare, imporre la propria autorità adottando la soluzione più radicale, attuando il motto “forti con i deboli e deboli con i forti” scartando quanto offre, la nostra legislazione, concrete e più eque e caritatevoli alternative. Questa è sicuramente una bella vergogna”.

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