Comacchio
20 Ottobre 2014
Il ministro in tour nel sito archeologico. Fabbri: “Sogno nuove importanti campagne di scavo per Spina”

Franceschini a Spina per la seconda nave romana

di Redazione | 4 min

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di Marcello Celeghini

Comacchio. “Un rinvenimento eccezionale”. Non occorrono altri aggettivi per definire ciò che in questi giorni è stato riportato alla luce nell’area archeologica dell’antica pieve paleocristiana di Santa Maria in Padovetere a pochi chilometri dal centro storico di Comacchio e a meno di un chilometro dalla zona archeologica di Spina in Valle Pega.

Nella mattina di domenica è stata convocata una conferenza stampa urgente in situ a cui hanno partecipato il ministro del Beni Culturali e del Turismo Dario Franceschini, le autorità di tutta la provincia e anche tanti cittadini, curiosi di saperne di più sulla storia del loro territorio.
L’importante ritrovamento riguarda una grande imbarcazione fluviale a fondo piatto lunga 15 metri, larga circa 7 e databile tra la fine dell’epoca imperiale romana e l’età tardoantica (tra il IV e VII secolo). La datazione del relitto è stata data dalla tecnica costruttiva dell’imbarcazione realizzata con il sistema ad assi cucite (sutilis navis) tipico dell’epoca tardo-imperiale. Il ritrovamento dello scafo è avvenuto a pochi metri dai resti delle strutture murarie plebane ad una quota di circa tre metri di profondità. Il relitto poggia sulla sponda settentrionale del paleoalveo del fiume Po in età romana che ci è tramandato dalle fonti con l’idronimo altomedievale di Padovetere (dal latino Padus = Po e vetus = antico) che testimonia come già nei secoli altomedievali il Po avesse spostato il suo corso principale più a nord (lungo l’attuale corso del Po di Volano) e il vecchio corso fosse ormai insabbiato e in fase di spegnimento.

La successione stratigrafica posteriore allo scafo, ben visibile anche ad occhi inesperti, rivela l’evoluzione dell’antico corso fluviale fino al suo completo spegnimento, quasi in concomitanza con la costruzione della vicina pieve. Ad una quota stratigrafica più alta rispetto a quella dell’imbarcazione, sta venendo alla luce una seconda imbarcazione completamente differente dalla precedente. Si tratta di una piroga monossile, ovvero uno scafo di piccole dimensioni, simile a quello già conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, molto diffuso per gli spostamenti fluviali nei secoli altomedievali, quando le vie d’acqua erano molto più importanti e frequentate delle vie terrestri.
Le due imbarcazioni, a differenza del famoso rinvenimento degli anni ’80, sono prive di carico e ciò fa pensare che siano state affondate volontariamente perché ormai vecchie ed inutilizzabili. Secondo ipotesi ancora al vaglio degli archeologi, l’imbarcazione sarebbe stata riutilizzata per la realizzazione di lavori di arginatura dell’antico fiume. L’importante ritrovamento non è stato casuale ma bensì programmato, poiché precedenti indagini, effettuate nel 2008, facevano ipotizzare la presenza di qualcosa di rilevante. Lo scavo è condotto da una squadra di giovani archeologi sotto la guida della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia Romagna grazie a fondi messi a disposizione dal Comune di Comacchio tramite una convenzione siglata lo scorso anno tra la Direzione Regionale per i Beni Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici, Comune di Comacchio ed Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità per l’apertura stabile dell’area archeologica di Santa Maria in Padovetere.

Gli scavi sono partiti circa tre settimane fa con un budget di appena 30mila euro, ora l’amministrazione comacchiese ha annunciato che stanzierà ulteriori fondi per l’ampliamento dell’area di scavo e la realizzazione di infrastrutture per rendere agibile, già dalla primavera 2015, almeno la porzione del sito dove sorge la pieve e il battistero con la necropoli annessa. “Spesso ci si piange addosso dicendo che mancano i soldi, no, invece spesso mancano le idee. – interviene il sindaco di Comacchio Marco Fabbri- Da Cervia a Ferrara abbiamo un territorio unico nel proprio genere in quanto a bellezze e ad offerta turistica. Lancio una sfida a tutti gli amministratori ferraresi presenti nel dotarci di una rete museale provinciale adottando una carta unica per il sistema museale ferrarese e nel riuscire entro breve tempo a raddoppiare gli ingressi nei nostri musei. Il recupero e l’ampliamento del sito di Santa Maria in Padovetere va proprio nella direzione di rilancio turistico che stiamo attuando in questi ultimi anni”. Poi il sindaco Fabbri rivela il suo sogno nel cassetto. “Da giovane amministratore quale sono, vorrei una grossa campagna di scavi, sostenuta anche da privati, che riporti alla luce la città di Spina, della quale ora conosciamo solo la necropoli, e i altri tanti tesori sepolti in provincia in modo da diventare il più grande laboratorio archeologico in Italia e rendere questo territorio, da Cento a Comacchio, ancora più conosciuto e ambito di quanto non lo sia ora”.

Molto impressionato dal ritrovamento è stato anche il ministro Dario Franceschini che ha garantito tutta la disponibilità del Mibact nel sostenere il recupero e la valorizzazione dell’area archeologica. “Il piano di fruizione e promozione di questo sito è molto interessante e ambizioso e dimostra come la collaborazione tra i diversi enti spesso funziona e porta ottimi frutti. I finanziamenti per proseguire gli scavi e la successiva valorizzazione ora ci sono, se ci sarà necessità di ulteriori fondi la disponibilità del Mibact c’è tutta. Ora a mio avviso- sostiene Franceschini- è necessario per il territorio ferrarese dotarsi e promuovere una sorta di ‘filiera storica’ che valorizzi il territorio dall’età del ferro fino alla grande epopea rinascimentale del Ducato Estense”.

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