“Se il presidente Renzi si ispirasse al ‘conoscere prima di deliberare’.” Massimo Zanirato, segretario generale della Uil ferrarse cita Einaudi e conferma di essere a tutti gli effetti uno dei pochi ad aver ‘cambiato verso’, ma nel senso probabilmente meno gradito al presidente del consiglio, quello a lui contrario. L’ultimo motivo di attrito sono le accuse che il premier rivolge ai sindacati e così Zanirato non perde occasione per fargli le pulci sulle ultime proposte, come quella di inserire il trattamento di fine rapporto (Tfr) nella busta paga dei lavoratori per dare una spinta all’economia.
Inserimento che, per il segretario Uil, è “quantomeno discutibile” e prova a spiegare il perché. “Il Tfr è salario differito, cioè del lavoratore, – esordisce Zanirato -. Non è quindi un aumento di retribuzione o un bonus che concede il governo, ma una disponibilità del lavoratore che lo può utilizzare nel modo da lui ritenuto più opportuno. Il Tfr può essere destinato alla previdenza complementare (detti anche: fondi pensioni contrattuali o fondi chiusi)” e, nella riforma del 1995 (quella del passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo), spiega il sindacalista, “si era ritenuto indispensabile destinare il Tfr ai fondi al fine garantire tassi di sostituzione adeguati (altrimenti l’assegno pensionistico sarebbe di circa il 45% della retribuzione)”. Un sistema che ha permesso alle quote versate nei fondi pensione di avere “un rendimento notevolmente più elevato di quello previsto per legge – spiega Zanirato -. Nel solo 2013 i fondi pensione (chiusi o contrattuali) hanno reso mediamente il 5,4% a fronte dell’1,7% del Tfr lasciato in azienda”.
Motivi sufficienti a far sì che, nel caso la retribuzione differita venisse effettivamente riconosciuta direttamente nella busta paga, il tfr “andrebbe sterilizzato fiscalmente, in quanto lo stesso, nel momento della liquidazione, ha una tassazione molto più bassa di quanto non lo sia una normale retribuzione”. Non solo, dal 2007, per le aziende con meno di 50 dipendenti, la quota di Tfr non destinata alla previdenza complementare transita nel fondo tesoreria del ministero dell’Economia e per far capire cosa accade, Zanirato fornisce un esempio: “Su circa 22/23 miliardi di euro, 5,5 vanno ai fondi pensione, 11 rimangono in azienda e 6 transitano dal fondo Mef. Teoricamente questi ultimi (6 miliardi) dovrebbero finanziare opere infrastrutturali. In realtà finanziano la spesa corrente! Quali conseguenze ci sarebbero per le casse dello Stato – chiede il sindacalista – nel caso in cui il Tfr versato in busta paga non transitasse più per questo fondo?”.
Ma Zanirato, oltre a sollevare problemi, attacca direttamente Renzi: “Dice che non vuole lavoratori di serie A e di serie B. Ci spiega chi, tra i lavoratori privati che potrebbero beneficiare del Tfr in busta paga e i dipendenti pubblici che al contrario non ne potranno usufruire, è di seria A e chi di serie B. Perchè il presidente Renzi chiede alle aziende private di anticipare il Tfr privandole di liquidità a basso costo e lui, al contrario, come datore di lavoro pubblico non lo fa? Eppure dovrebbe dare l’esempio. In questi anni di crisi si è sviluppata purtroppo, tra molti lavoratori in difficoltà, la cosiddetta ‘cessione del quinto dello stipendio’. Spesso il Tfr è nelle disponibilità delle finanziarie come garanzia del prestito. Come si ovvierà a questo? Chissà se al premier – conclude Zanirato – sono state evidenziate alcune di queste problematiche o se, come gli capita sovente, è il solito annuncio per poi poter dire che i sindacati sono sempre i soliti a cui non va bene niente”.