Lettere al Direttore
24 Settembre 2014

Uil: “Più attenzione per il futuro della sanità pubblica”

di Redazione | 3 min

C’era una volta una Regione proiettata all’innovazione, una Regione punto di riferimento nazionale per tanti settori, dall’economia alla cura e all’assistenza alla persona; una Regione in grado di essere punto di riferimento di tutte le Provincie e volta all’individuazione di modelli nei quali il lavoro e la persona erano al centro di iniziative e scelte politiche. Questa Regione era l’Emilia Romagna la quale, da qualche tempo, sembra abbia smarrito lo smalto e lo spirito d’innovazione che l’aveva fortemente contraddistinta nel panorama nazionale.

Nell’ambito del settore sanitario abbiamo alcuni esempi dell’attuale stato confusionale. La Regione Emilia Romagna anziché impegnarsi nella valorizzazione delle professioni sanitarie tecnico infermieristiche ha approvato la delibera n.220/2014 con la quale si fornisce un attestato a laici, assistenti (badanti) e a terzi, abilitandoli a esercitare le pratiche sanitarie proprie degli infermieri con 14,30 modestissime ore di pseudo formazione.

Considerati i contenuti della Legge 251, la continua evoluzione che ha contraddistinto il Servizio Sanitario Nazionale e Regionale, il fondamentale contributo offerto dalle professioni sanitarie per il mantenimento e la qualificazione del sistema salute, i nuovi modelli orientati alla integrazione ospedale/territorio, l’organizzazione delle strutture ospedaliere per intensità di cura, ecc… , pensavamo che la nostra Regione si impegnasse per garantire a infermieri e tecnici sanitari l’esercizio della libera professione autonoma nel contesto delle strutture pubbliche, così come da tempo avviene per i medici e i dirigenti sanitari.

E invece, pur comprendendo l’utilità di istruire pazienti e familiari o parenti su alcune incombenze legate alle attività assistenziali per il proprio caro, assistiamo all’idea, assolutamente infausta e da respingere, di fornire in modo maldestro e pasticciato, da parte della Regione, attestati abilitanti a esercitare delicate pratiche sanitarie riservate dalle leggi dello Stato ai professionisti laureati della sanità.

Un curioso modo sbrigativo di risolvere i problemi legati all’assistenza domiciliare quello di abilitare all’istante (14,30 ore) tutti gli assistenti domiciliari (le badanti) alle pratiche medico infermieristiche; poteva venire in mente solo a politici ormai decotti che non sanno che il percorso formativo universitario di ore ne prevede, giustamente, 5400.

Diversamente, a fronte del contenimento dei posti letto e della chiusura di ospedali dovrebbero essere fatti investimenti sul territorio con un REALE sviluppo di prestazioni attraverso le case per la salute e dell’assistenza domiciliare, non solo attraverso il coinvolgimento dei medici di base, ma anche, ad es. attraverso l’istituzione dell’infermiere di quartiere, la valorizzazione del capitale umano rappresentato dai tanti professionisti del sistema sanitario pubblico i quali potrebbero, anche con ambulatori specifici rispondere, nel campo infermieristico, ostetrico e della riabilitazione ai tanti bisogni emergenti sul territorio, compresi quelli a domicilio dei pazienti.

Cosa dire infine delle scelte adottate dalla Regione per fare fronte alla diminuzione del finanziamento nazionale per la sanità ?

La Regione, a partire dalla fine del 2012 ci ha raccontato che gli interventi sarebbero stati mirati a tutte le forme di possibili risparmi che non incidevano sulla qualità e la quantità delle prestazioni. La verità è che dal gennaio del 2013 ad oggi, con la scelta regionale di sostituire i pensionamenti nel limite del 25%, il vero risparmio è stato prodotto sulle spalle degli operatori, infermieri, tecnici, medici, amministrativi, ecc.. Tutto ciò a scapito della funzionalità dei servizi.

Infine, che ormai la Regione Emilia Romagna abbia abdicato al proprio ruolo di innovazione e di coordinamento delle politiche sanitarie è dimostrato dalle scelte incomprensibili e differenziate in ordine alla programmazione e alla gestione della sanità.

Esistono ragioni logiche (tolte ovviamente le logiche di potere) per le quali nella medesima Regione vi siano Aziende sanitarie che gestiscono i bisogni di 1.150.000 cittadini e che accorpano 3 Provincie (l’intera Romagna) e nel contempo ve ne siano delle altre che gestiscono poco più di 130.000 cittadini in un contesto neanche provinciale ?

Su questi temi è necessario aprire un dibattito in tempi brevi per riportare nella nostra Regione quello spirito di innovazione ormai residuale.

Uil – Uil Fpl Emilia Romagna

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