“L’Emilia-Romagna è una grande regione. Siamo ciò che abbiamo fatto“
Vasco Errani, Presidente dimissionario della Regione , dopo 15 anni di governo, il 23 luglio 2014 mentre si accomiata dal Palazzo.
Mai parole, alla luce dei fatti di oggi, furono più calzanti.
Il calendario però va fissato a gennaio 2014.
A quell’epoca risalgono le “tre condanne senza senso”, come ha ben scritto l’Ordine dei Giornalsti, dei colleghi di Repubblica, Resto del Carlino e Corriere della Sera la cui unica colpa è aver pubblicato, a tre anni di distanza, la notizia, vera e fondata, delle indagini a carico di Errani Vasco, governatore della regione, e del fratello Giovanni, per la nota vicenda di Terremerse che costerà poi al presidentissimo la condanna in appello (dopo l’assoluzione in primo grado) a un anno per falso ideologico e le dimissioni anticipate.
Dimissioni firmate e consegnate non prima che l’astuto iter, fatto di timbri e date di protocollo, consentisse alla maggioranza di approvare una legge elettorale regionale da far invidia a porci, cinghiali e gufi: un ibrido animale normativ-elettorale che mischia proporzionale e maggioritario con un balzano riporto dei resti.
Poi la solidarietà fotocopia, gli attestati di stima (perché s’è dimesso) e tutta la tiritera che ci ha portato sin quasi ad oggi.
Manca, schiacciato tra la renziana incudine e il bersaniano (pur sempre comunisti sono) martello, decide di rimanersene ad Imola, per la gioia dei locali abitanti suppongo.
Poi Bianchi, che nonostante la metaforica partenza in quarta ma i realissimi 80mila euro di auto blu, evidentemente al volante, per citare il consigliere uscente Montanari, di “un’auto a pedali” (VIDEO) al primo pit stop è costretto a scendere e accettare il posto di navigatore a fianco del primariato pilota, chiunque esso sia. Adesso, col senno di poi, non avrebbe dovuto slacciarsi la cintura…
Richetti, carico come una molla e lanciato verso viale Aldo Moro, pur avendo l’apparato bersaniano finto-renziano contro, decide di correre e mobilita sezioni e circoli, più o meno margheritini.
Dopo una travagliata notte decide però di ritirarsi per “motivi personali” perchè, i maligni avanzano ipotesi, potrebbe aver ricevuto rassicurazioni romane di un posto nella “segreteria allargata nazionale” e solo qualche ora più tardi giungerà la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati per l’accusa di peculato (presunto, sia chiaro!), che però “nulla c’entra” con la scelta politica. Sarà…
Per Stefanone sembra fatta, quando, da dietro, si scaglia ancora la magistratura, non paga dell’intervista a Porta a Porta di Renzi e inviperita per il taglio delle agostane ferie (che poi se son così stanchi possono anche evitare di rimanere in servizio sino a 75 anni).
Tac! Indagato per peculato pure lui. Ma niente ritiro e motivi personali: d’altronde con tutti i sindaci e i pezzi di partito che lo appoggiano figurarsi se può ritirarsi.
Mentre Balzani rimane sul chi va là e agita cornetti porta fortuna, già si muove la candidatura di peso, il grande ritorno, il fixer per definizione: Graziano Delrio, tanto il suo braccio destro, Mauro Bonaretti, può rimanere tranquillo a Roma essendo già stato promosso da direttore generale del Comune di Reggio Emilia, passando per vari incarichi governativi e non, alla più confortevole poltrona di Segretario Generale di Palazzo Chigi.
Di tutto questo, un simpatico e spiritoso riassunto di cronaca, ci sono però dei dati di fatto inequivocabili che caratterizzano il sistema politico regionale emiliano-romagnolo.
Prima tra tutti chiaramente l’assenza di una opposizione di centrodestra in grado di misurarsi con un ricambio di governo. In una condizione come l’attuale, con un PD allo sbando si sarebbe dovuto già trovare da tempo una quadra attorno ad un nome che potesse, proprio anche in questa circostanza, emergere con voce chiara e programma autorevole, fissando il punto politico della situazione, anche, se il caso, isolando, partiticamente non politicamente sia chiaro, la Lega che continua a seguire ridicole spinte centrifughe che dimostrano l’assoluta incapacità di imparare dalla lezione comunale felsinea.
In secondo luogo far emergere con chiarezza la palese incoerenza di coloro i quali sbandierano il purismo di divisone tra persona e istituzioni senza aver il pudore, quando tocca a loro, di trarre le conseguenze nel momento che si reputa, secondo il loro “schema”, interrotto il filo rosso di trasparenza già da tempo spezzatosi altrove.
Va però detto, a difesa, che il garantismo, caposaldo del nostro ordinamento (forse un po’ meno a sinistra) non può venir meno anche in questo caso.
Il mio personalissimo parere è che un’indagine della magistratura non può inficiare il naturale corso della politica, altrimenti potremmo tranquillamente evitare le elezioni e fare un concorso pubblico per i politici.
La magistratura vada fino in fondo, faccia le sue mosse e alla politica (e agli elettori in ultima analisi) il compito di definire in quale punto, per me non certo con l’iscrizione nel registro degli indagati ma tant’è, si determina lo stand by politico e il ritiro in attesa di definire la propria posizione.
Sempre ammesso e non concesso che sia il codice penale l’asticella che vogliamo mettere all’etica pubblica. Cosa non del tutto scontata ovviamente.