Pensieri stringati
18 Agosto 2014

Numero 6

di Paolo Simonato | 5 min

19/07/14

Esco di casa.

Mi fermo un istante prima di partire e mi accorgo che, a dispetto del massiccio portone, le urla della Milla sono perfettamente percepibili anche in strada.

Abbiamo litigato, in quella maniera assurda, improvvisa ed estrema che assumono i litigi tra genitori e bambini.

Chiudo gli occhi per qualche secondo, trattenendo a fatica l’impulso di tornare indietro e di prenderla a sculacciate; mi stacco dalla cornice del portone e mi avvio verso l’appuntamento con Luca accompagnato per le prime falcate dai suoi strilli che si attenuano rapidamente all’aumentare della distanza.

Il primo tratto lo corro quasi in trance, ignaro dell’ambiente che mi è intorno: per poco non mi scontro con un ciclista, che semplicemente non avevo visto; gli riservo un’occhiataccia per quanto sia io, dal punto di vista del codice della strada, ad avere torto.

Torto o ragione, rifletto cupamente, passano invece del tutto in secondo piano in questo genere di discussione; resta dentro un groppo inestricabile di rabbia e senso di colpa, nel caso in questione aggravato dal fatto di avere delegato a Mascia la gestione della bega.

Sono riportato alla realtà contingente da Luca che mi chiama venendomi incontro; ci salutiamo, ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) e ci avviamo come al solito verso la Prospettiva.

Subito mi chiede come va.

“Bene” rispondo io meccanicamente.

Ma non si corre insieme per anni, non si condividono chilometri e maratone senza arrivare a capirsi a colpo d’occhio.

“Sei sicuro?” ribatte.

“Perché?”

“Hai una faccia…”.

Chissà perché non volevo che la mia arrabbiatura trasparisse e sono un po’ indispettito per essere stato così facilmente smascherato; forse Luca dal canto suo teme di essere stato troppo diretto, fatto sta che tacciamo per un breve tratto, fino a oltrepassare l’incrocio con Porta Mare.

Subito dopo superiamo una coppia di un padre con una figlia: la bambina potrà avere 5 anni, il genitore la spinge delicatamente sulla schiena per aiutarla ad affrontare la breve salita a bordo della sua bicicletta con le ruotine.

Li guardo con invidia e mi viene voglia di parlare: faccio al mio amico un rapido riassunto della questione.

“Hai ragione, sono arrabbiato, e ho la testa così per aria che prima stavo quasi per andare a sbattere addosso a uno in bici, neanche fosse stato invisibile. Io e Milla abbiamo litigato. Per una faccenda di caramelle”.

Il mio tono tetro mal si coniuga con il contenuto letterale della questione. Tant’è che Luca teme di non avere capito bene:

“Di caramelle?”.

A volte basta solo formulare un problema ad alta voce per vederlo ridimensionarsi, e l’espressione perplessa del suo volto mi fa scappare una risata:

“Sì, di caramelle. Lo so che sembra una cretinata…”.

Anche Luca sorride, ma poi aggiunge:

“Può essere, ma pare ti abbia fatto stare male”.

Adesso invece gli sono grato per avermi capito.

“Volevo venire a correre, ero in ritardo, avevo una fretta del diavolo, cercavo di prepararmi per uscire e lei mi chiedeva in continuazione delle caramelle. Gliene ho data una, poi due, e alla terza richiesta ho detto basta. E lei è andata su tutte le furie ed ha cominciato a urlare. E allora ho urlato anch’io”.

Ho parlato con più concitazione di quanto avrei immaginato, mi sembra quasi che la mia canottiera si sia inzuppata di sudore più negli ultimi 50 metri che in tutto il tratto precedente.

Luca comincia il suo racconto come se non fosse una risposta.

“Un paio d’anni fa, mi ero da poco trasferito a Milano, mia madre ha cominciato a tempestarmi di telefonate mentre ero al lavoro per chiedermi delle cose assurde, o rimandabili, o che sapeva già. E più le dicevo di non disturbarmi più lei si accaniva a cercarmi, o almeno così mi sembrava. Quando sono tornato per il week end invece di utilizzare tutto il mio tempo per sbrigare faccende e per vedere gli amici le ho chiesto se voleva venire al mare con me. Siamo stati insieme mezza giornata, abbiamo parlato del più e del meno, abbiamo mangiato del pesce. Da allora quando sono via ci sentiamo regolarmente, ma quelle telefonate invadenti non ci sono più state”.

“Forse cercava solo una scusa per sentirti, voleva essere rassicurata del fatto che per te lei c’è ancora, anche se vai a Milano”.

“… o a correre” aggiunge lui.

Evidentemente il groppo inestricabile di rabbia e senso di colpa aveva obnubilato la mia capacità di vederci chiaro nelle mie faccende, preservandola però rispetto a quelle altrui.

Perfino rispetto al ciclista – rifletto – ero stato cieco anche se era tutt’altro che invisibile, e tra l’altro aveva pure ragione… Che a ben vedere non avesse ragione anche la Milla?

Facciamo la consueta inversione a U all’inizio di Viale Belvedere; mi sento leggero, propongo a Luca di fare gli ultimi chilometri in progressione, forse perché sto meglio anche fisicamente, forse perché ho voglia di rientrare in fretta per rivedere Camilla.

Arrivato all’alberone saluto Luca e imbocco la strada di casa; ora che sono vicino la fretta si trasforma quasi in timore, anche se non so bene di che cosa. Mi avvicino al portone guardingo, con l’orecchio teso. Non si sente più urlare, in apparenza tutto è tranquillo.

Apro la porta e la avvisto subito: è seduta al suo banchetto, intenta a pitturare un album di Peppa Pig. Mi vede con la coda dell’occhio ma mi ignora ostentatamente.

Al centro della tavola troneggia la coppa contenente le caramelle della discordia. Mi viene un’idea. Ne prendo una e la chiamo. Lei si avvicina imbronciata, guardandomi di sottecchi.

Le mostro le palme delle mani: in una c’è una caramella, nell’altra non c’è niente.

“Quale caramella vuoi?” le chiedo “quella visibile o quella invisibile?”

Mi guarda sorpresa, indecisa su come interpretare la mia strana richiesta; poi guarda le mie mani, alternativamente.

Alla fine, sicura, mi pizzica col pollice e l’indice il palmo vuoto; si porta le dita alla bocca e comincia a masticare rumorosamente, con evidente compiacimento.

Poi si volta e torna a disegnare.

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