Cronaca
2 Agosto 2014
Lo scrittore ferrarese Testa ricorda il giorno della strage di Bologna: “Lo Stato non condanna mai se stesso”

2 agosto. La coscienza che non si può toccare

di Elisa Fornasini | 5 min

Stragedibologna-2Non sono scomparsa e nemmeno dispersa, non sono fuggita. Io sono la brezza leggera del marinaio che rientra, mia piccola bimba, sono diventata coscienza che non… si può toccare”. Oggi come allora. Dopo 34 anni la verità sulla strage di Bologna è ancora costellata di domande. Anche se qualcuno le risposte le ha. E le grida da quel lontano, o vicino, 2 agosto del 1980.

“Le inchieste sulle stragi sono destinate all’archiviazione perché lo Stato non condanna mai se stesso anche se il potere cambia colore”. È questa oggi la dura riflessione del giornalista e scrittore ferrarese Gian Pietro Testa, uno dei primi a recarsi il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Sono passati esattamente 34 anni da quella terribile mattina ma la strage delle ore 10.25 sembra essere una storia senza fine. “Si chiude la porta alla verità ma la verità si conosce, non la vogliamo conoscere noi” è il commento laconico del giornalista che dalla morte di Enrico Mattei nel 1962 all’eccidio di Peteano ha seguito tutte le vicende più oscure dell’Italia. Un’Italia che non vuole vedere che “le stragi sono compiute proprio dallo Stato”.

Una storia che si ripete anche per la strage di Bologna di cui “non avremo mai né la verità giudiziaria né quella storica”. In effetti la verità giudiziaria ha visto le condanne in via definita per gli ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini ma, anche se i tre sono stati giudicati gli esecutori materiali della strage, manca ancora all’appello la condanna dei mandanti dell’attentato. “Il mandante non è mai venuto fuori e non verrà mai fuori – dichiara Testa – perché il potere non giudica mai se stesso. Da questo punto di vista le indagini sono inutili e non parlo per pessimismo ma per realismo”.

L’ultimo capitolo dell’infinita storia processuale ha visto la richiesta di archiviazione per le posizioni dei due ex terroristi tedeschi Thomas Kram e Margot Christa Frohlich. “Se andate a domandare a un giovane chi ha fatto la strage di piazza Fontana – afferma Testa – vi risponderà che sono state le Brigate Rosse. Una verità totalmente falsa che viene fuori dalla conoscenza popolare”. Parlare di verità con chi la verità l’ha vista calpestata troppe volte non è facile. Viene solo in mente la teoria di Pirandello secondo cui “la verità è colei che mi si crede”. Però, secondo il giornalista, “che sia colpa dello Stato non è una tesi o una opinione, c’è scritto nei documenti. Andate a chiedere a Renzi se apre le casseforti per farveli leggere, andare a chiedere della P2 a Berlusconi, che era iscritto alla lista ed è stato al potere per 20 anni”.

Gian Pietro Testa

Gian Pietro Testa

In questo contesto sembra passare in secondo caso il tema della memoria. A Bologna oggi si terranno le celebrazioni per l’anniversario della strage. “Ben vengano le iniziative per ricordare e far conoscere questa storia – commenta Testa – ma le manifestazioni, e lo so per esperienza personale, non sono mai servite a niente”. Il giornalista non parteciperà all’evento perché sarà a Roma ma appoggia l’amico Paolo Bolognesi, il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna. “È uno dei pochi che continua a lottare e lo stimo molto per questo”.

Gian Pietro Testa quella tragica mattina non se la dimenticherà mai. “Ero appena arrivato in città – racconta – perché pur abitando a Ferrara andavo a Bologna tutti i giorni a lavorare per l’Unità. Qui è arrivata la notizia che erano scoppiate le caldaie in stazione e sono subito accorso sul posto”. Per il ferrarese è stato quasi un deja-vu: “La dinamica è stata la stessa della strage di piazza Fontana, anche lì la colpa fu data subito alle caldaie e io fui il primo giornalista ad arrivare sulla scena”. Una scena che definisce “orribile”. “Mi sono sentito prigioniero di verità terribili – ricorda – perché tutto quello che io e pochi altri abbiamo studiato, indagato e verificato, anche con rischi personali, non era servito a nulla”.

“Ho subito capito che non bastava la cronaca per descrivere la situazione. Certo, la prima pagina per l’Unità l’ho fatta, ma la poesia era l’unico mezzo capace di trasformare la realtà.. in vera realtà”. E così, armato di penna, lo scrittore ha colorato di inchiostro le sue emozioni e ha scritto “Antologie per una strage”. Una silloge di 84 poesie, una per ogni bara che vide trasportare fuori dalla stazione quel giorno. “La poesia ha raccontato la strage molto di più che il linguaggio giornalistico, ormai non più sufficiente né adeguato, anche perché l’astrazione della poesia non viene mai dimenticata”.

Testa concludeva la sua antologia con la poesia numero 84. Quella dedicata a Maria Fresu. Accanto a lei c’era la figlia Angela di tre anni. Di Maria non è rimasto nemmeno il corpo, letteralmente polverizzato dall’esplosione. È rimasto il ricordo, racchiuso in questi versi:

E io sono Maria, mia piccola bimba, e non sono scomparsa. Mi cerchino pure, io sono nel cuore. Non sono scomparsa e nemmeno dispersa, non sono fuggita. Io sono la brezza leggera del marinaio che rientra, mia piccola bimba, sono diventata coscienza che non… si può toccare. Per chi mi vuole io sono la libertà, per chi mi cerca io sono giustizia. Nessuno m’ha ucciso, mia piccola bimba, io sono un’idea, un’umile idea che fa grande il lungo cammino dei giusti”.

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