Economia e Lavoro
30 Luglio 2014
Presidio davanti ai cancelli mentre è in atto il corteo a Roma. Zanirato: "Il governo si impegni di più per l'occupazione"

Petrolchimico in sciopero. Atti: “Il piano Eni porta alla dismissione”

di Ruggero Veronese | 4 min

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unnamed (3)Rabbia, paura, disillusione. Sono questi i sentimenti più diffusi tra i lavoratori Eni del petrolchimico ieri mattina in sciopero per protestare contro il cambio di rotta dell’azienda. Sono da poco passate le sette quando il pullman della delegazione ferrarese parte alla volta di Roma, per raggiungere i colleghi di Gela, Porto Marghera e degli stabilimenti italiani che temono gravissime ripercussioni dopo di segnali di allontanamento di Eni dal comparto chimico e dagli investimenti in Italia. Ma soprattutto per chiedere al governo di intervenire di fronte alle scelte (“scellerate” secondo i sindacati) del nuovo gruppo dirigente, guidato da Claudio Descalzi ed Emma Marcegaglia e nominato proprio dal premier Matteo Renzi.

Di fronte ai cancelli del petrolchimico sono circa una quarantina i lavoratori che si alternano nel presidio, a cui prendono parte anche alcuni dipendenti Basell. Ma la loro presenza non è solo un segno di solidarietà verso i colleghi di Eni, visto che la mancata ripartenza del cracking di Porto Marghera mette a rischio anche gli investimenti in Italia delle aziende estere. E il timore diffuso è che proprio Basell, che già con i 41 licenziamenti dell’estate scorsa aveva mostrato i primi segnali di allontanamento, possa ulteriormente ridimensionare i propri investimenti italiani. “C’è molta preoccupazione per quello che sta accadendo in Eni dopo la nomina del nuovo amministratore delegato Descalzi – afferma Vittorio Caleffi, dipendente della multinazionale americana -, visto che le nostre produzioni usano le materie prime che arrivano da Porto Marghera”.

Il problema, relativo all’intreccio e all’interdipendenza tra i vari stabilimenti chimici, era già stato sollevato nei giorni scorsi e durante l’assemblea dei lavoratori. Ma quello che oggi le  organizzazioni per i lavoratori cercano di sottolineare è soprattutto il tema – forse ancora più vasto – della strategia industriale dell’Italia per quanto riguarda il comparto chimico. “Il problema – spiega durante il presidio il segretario provinciale Uil, Massimo Zanirato – riguarda il piano industriale di Eni, di cui il governo dovrebbe farsi carico. Ponendosi sia nelle vesti di maggior azionista (circa il 30% del pacchetto è di proprietà pubblica, ndr), sia per dare una direzione chiara all’industria italiana: è chiaro che se si vanno a investire 50 miliardi di euro in Africa annullando gli accordi di Gela e Porto Marghera si perderanno posti di lavoro in Italia. Vorremmo che il governo si impegnasse di più sul tema dell’occupazione, oltre che nelle riforme istituzionali. Senza contare che tutto ciò che non produciamo più in Italia dovremo comprarlo all’estero”.

Il segretario provinciale Cgil, Raffaele Atti

Il segretario provinciale Cgil, Raffaele Atti

Ma quali sono i veri obiettivi a lungo termine di Eni? Il segretario provinciale Cgil, Raffaele Atti, ha un’idea precisa: “Siamo di fronte a un cambio di strategia della società attraverso la scelta di dedicarsi prevalentemente alle attività estrattive, che hanno una maggiore resa sul piano finanziario. Questo mette in una situazione di precarietà tutto il mondo della chimica di base, che in Italia non può fare a meno Eni. Il problema drammatico è che questo piano è funzionale alla dismissione di Eni, che non viene più vista come strumento per fare politica industriale ma come semplice asset finanziario”. La paura vera insomma è che anche le quote pubbliche del colosso industriale italiano possano essere sacrificate – o almeno in parte – sull’altare dei conti pubblici, dopo aver goduto di un’importante rivalorizzazione grazie alle notizie delle nuove estrazioni in Africa. Notizie ancora più preziose – è veramente il caso di dirlo – se si considera la delicata situazione in Russia e Ucraina, che rende molto più allettanti gli investimenti nell’Africa centrale. “Si tratta – conclude Atti – di un segnale di forza ai mercati finanziari”.

Durante il presidio si è unita ai manifestanti anche una piccola delegazione del Partito Democratico, guidata dal segretario generale Paolo Calvano e dall’assessore alle attività produttive Caterina Ferri. I lavoratori restano davanti ai cancelli del petrolchimico per tutta la mattina, ma l’umore generale non è quello battagliero che si respira in altre occasioni: il ‘tradimento’ degli accordi da parte della nuova dirigenza ha lasciato il segno. “Il problema principale – commenta con amarezza Carlo Marchesini, dipendente Eni – sarà capire con quale spirito andare a stipulare i prossimi accordi, se poi sappiamo che non vengono rispettati. Anni fa bastava una stretta di mano per essere certi della parola, ma ora come ci dobbiamo porre con la società? Quello che è successo ci ha tolto anche l’entusiasmo di discutere”.

Intanto da Roma giungono i primi aggiornamenti sulle mosse del parlamento: il deputato ferrarese del Pd Alessandro Bratti conferma infatti che il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi risponderà a un’interrogazione in aula proposta dal Pd. “Il ministro – afferma Bratti – dovrà spiegare in che modo e con che tempi il governo intenda attivare un tavolo sulla crisi del settore della raffinazione per la valutazione di seri progetti di riconversione industriale tra cui la chimica verde e il biofuel. L’obiettivo e’ valutare i progetti industriali del gruppo Eni in Italia a tutela di investimenti, produzione ed occupazione”. Secondo i dati dei sindacati, lo sciopero di questa mattina ha raccolto una grande adesione con circa il 90% dei lavoratori.

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