Sport
25 Luglio 2014
La riflessione del campione ferrarese sulla boxe di oggi

Duran: “Questo non è più il mio pugilato”

di Redazione | 6 min

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(foto dal profilo facebook del campione)

(foto dal profilo facebook del campione)

di Eleonora Manfredini

“Ringrazio i tanti che mi hanno seguito in questi anni, da tempo non intervengo più sui gruppi che parlano di pugilato, per tanti motivi. Da adesso non scriverò più nulla di pugilato sulla mia pagina. Il mio contributo per cercare di aiutare il pugilato finisce qui”.

Così, quasi a ciel sereno, un fulmine squarcia la pagina Facebook di Alessandro Duran. Il suo nome è sinonimo di guantoni. Assieme al fratello Massimiliano e al padre Carlos, ha scritto un capitolo più che corposo della storia della boxe italiana. Che cosa mai può essere accaduto per portare Alessandro a queste conclusioni amare, condivise sul social? Verrebbe da pensare che tutto ciò possa avere a che fare con l’aggressione a Mirco Ricci, che nel fine settimana ha vinto a Roma il titolo italiano dei mediomassimi, salvo poi subire un agguato nella notte. Uno scooter ha affiancato l’auto in cui Ricci si trovava, sparando un paio di colpi di pistola e gambizzando il neo campione. Ma la riflessione di Duran, che ovviamente augura al giovane atleta di ristabilirsi in fretta, è rivolta a quanto avvenuto giorni prima del combattimento, quando il mediomassimo era stato arrestato e accusato di rapina dopo aver picchiato un uomo in zona San Paolo a Roma.

“Sono episodi inammissibili – commenta Duran – a me diedero 18 mesi di squalifica quando passai dai dilettanti ai professionisti a 18 anni invece che a 21 anni. A persone come Ricci, che causano enormi danni di immagine al pugilato e allo sport, la Federazione non fa nulla? Anzi, permette che l’atleta combatta per il titolo. Non è possibile”.

Quindi le dichiarazioni su Facebook rappresentano la sua delusione verso la condotta dei pugili dei nostri giorni?

“Non è esattamente così. Mi spiego meglio: sicuramente non esistono più i boxeur di una volta, ma questa è soprattutto una conseguenza del sistema, che è mutato. Quando io combattevo, mai e poi mai mi sarei sognato di fare tardi la sera, andare per locali o andare in giro a picchiare la gente, o in generale commettere reati. Il pugilato era la mia vita, è tuttora la mia vita. Non avevo certo bisogno di altro, se non di allenarmi e combattere. Se avessi commesso un qualsiasi passo falso, le conseguenze sarebbero state l’allontanamento dal ring e io non volevo. Il pugilato – prosegue Duran -, per chi non lo conosce, è solo violenza. Invito chiunque a seguire un incontro di pugilato e l’allenamento di un pugile per comprendere che non è così. La boxe è impegno, sacrificio, la consapevolezza di dover passare attraverso il dolore, sopportarlo, per poter vincere, come nella vita. È una lotta con se stessi, le proprie paure, i propri limiti. Non è violenza. Il pugilato un tempo aveva un seguito di pubblico roboante. Ricordo 80.000 presenze a San Siro per un incontro, il seguito dei giornali, del pubblico. Il pugile era un eroe che incarnava i valori dello sport”.

E Ricci sicuramente non si è comportato da campione fuori dal ring…

“Non si può scindere l’uomo dall’atleta. Non si può pensare che essere bravi boxeur significhi poter fare qualsiasi cosa al di fuori dal ring perché tanto si è campioni e si può fare tutto. Non è così che funziona. Proprio perché si è campioni si deve tenere un comportamento ancor più corretto. Il campione è un esempio, si è sempre sotto una lente di ingrandimento. Poi ora sono tutti campioni. Si punta più sulla quantità e non sulla qualità, si dà spazio a tutti, a tutti si dà l’occasione di provarci. Chiunque, grazie ad un corso, può ora diventare maestro. Non voglio sminuire nessuno. Ma la boxe è uno stile di vita che non si insegna con un corso. E nelle palestre oggigiorno c’è un po’ di spazio per chiunque. Cercando di far crescere tutti alla stessa maniera, anche chi non è portato, si rischia di penalizzare chi davvero ha le doti per essere un campione, magari non dedicandogli le attenzioni necessarie a farlo decollare. Cercando di far diventare bravi tutti, si arriverà ad un momento in cui non lo sarà nessuno”.

Alessandro Duran ne sa qualcosa, figlio d’arte, con i guantoni nelle vene, così come il fratello Massimiliano. Da anni sia lei che “Momo” allenate al “Pala John Caneparo”. Però chi la legge su Facebook nota un certo “disinnamoramento” per il pugilato, con il suo palmares è mai possibile?

“Premetto che Facebook è un veicolo di comunicazione che va preso con le dovute cautele. Con questo social è possibile far girare in fretta i messaggi, scambiarsi opinioni e stare in contatto con le tante persone che conosco all’interno del mondo del pugilato. Però è un’arma a doppio taglio. Tengo a precisare che non mi sono mai nascosto dietro ad una bacheca virtuale. Quando ho qualcosa da dire la dico senza problemi. Fare rimbalzare i miei sfoghi su Facebook aiuta semplicemente ad estenderne la condivisione. Detto questo io amo il pugilato. L’ho amato da atleta e lo amo ora da coach. Non amo però più il mondo del pugilato, che è cambiato. Per gli aspetti di cui si parlava prima. La Federazione dovrebbe intervenire in situazioni come quella di Ricci e non mettere la testa sotto la sabbia. Così come dovrebbe tutelare il movimento pugilistico. La boxe ormai viene considerata pochissimo, gli incontri sono pressoché privi di seguito, i motivi sono svariati: le tv a pagamento, i giornali che non seguono più il pugilato come un tempo, gli atleti, che come si diceva non sono più quelli di una volta, a causa anche dei maestri e delle società, che spesso ricercano solo i propri interessi. Però qualche atleta meritevole c’è e se questi non vengono tutelati si rischia davvero di scivolare verso il baratro. Un tempo il campione di pugilato viveva di boxe. Ora il campione deve lavorare oltre che combattere per arrivare a fine mese”.

“Per questo motivo – prosegue Duran – mi sono sempre prodigato in grandi battaglie per cercare di difendere il movimento pugilistico, sfatandone i miti di violenza, cercando di pubblicizzarlo, perché credo in questa disciplina. Mi accorgo però che il mio mondo, non è più lo stesso di un tempo. È cambiato tutto e chi potrebbe non si fa nulla per osteggiare questo declino. Perché allora devo combattere solo io contro tutto questo? Mi spiace solo – conclude Duran – per chi non merita questa parabola discendente. Simona (Galassi, che combatterà il 9 agosto per difendere l’europeo, ndr) era in palestra ad allenarsi sabato, così come Mattia Musacchi, loro erano a sudare e fare sacrifici. Loro non fanno notizia però, sono educati e rispettosi, non vanno a delinquere e si impegnano per un obbiettivo importante. Io è a loro che devo dedicarmi. Non posso certo permettermi di perdere energie a difendere un mondo, come quello del pugilato odierno, in cui non mi ritrovo più”.

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