Economia e Lavoro
30 Giugno 2014
A Ferrara furono circa 8500 all'epoca i risparmiatori che persero i loro investimenti nel default

Incubo Argentina, ma Carife è al sicuro

di Redazione | 5 min

Denaro-CassierePer la settima volta nella sua storia nazionale è l’Argentina ad essere tornata l’incubo, prima latente, ora dichiarato, di risparmiatori e operatori finanziari adesso che sul Paese si fa percepisce sempre più distintamente lo spettro del defaut.
Il nodo centrale del problema va ricercato ancora nel fallimento del 2001 e, più che altro, nei suoi strascichi legali. Ma, alla fine della fiera, il rischio per i detentori di titoli ristrutturati — il cui numero è assolutamente impossibile da anche solo stimare, ma che molto probailmente comprende anche una serie di istituti di credito, alla luce della restituzione alle banche dei titoli venduti illegittimamente ai clienti negli anni scorsi ordinata dalla magistratura — è quello di vedere sparire il capitale investito, senza nemmeno prendere in considerazione gli eventuali rendimenti prospettati o attesi. Il tutto, arrivati fin qui, nel giro di poche ore.

Come ci siamo arrivati. Nella notte del 23 dicembre 2001 i conti erano già saltati da parecchio quando il presidente appena insediato, Adolfo Rodriguez Saà, annunciò quello che anni di cambio fisso col dollaro, alto debito e ingenti spese avevano reso inevitabile: l’Argentina non avrebbe ripagato il proprio debito. Seguirono anni di cause legali qui e di prelievi bloccati dall’altra sponda dell’Atlantico. Nel 2005 e nel 2008 il Paese sudamericano propose due concambi per coloro che avevano perso i propri risparmi a causa dei tango bond, offrendo nuovi titoli a scadenze più lunghe e con haircut che arrivavano fino al 70% in cambio di quelli vecchi. Il 93% degli interessati accettò, il resto finì nelle mani di vulture fund: fondi speculativi che comprano titoli di nessun valore, subito prima o dopo un default, e rifiutano qualsiasi accordo con l’emettitore dell’obbligazione passando direttamente alle vie legali: se si perde l’investimento fallisce, se si vince sono tanti soldi, almeno quanti ne dichiara il valore nominale dei titoli posseduti. Molto rischioso, molto audace, moralmente deprecabile.

Sono stati questi fondi a mettere un grosso punto interrogativo sulla sopravvivenza finanziaria dell’Argentina, con una causa recentemente vinta a New York che impone al Paese di versare a questi fondi una cifra che si aggira intorno al miliardo e trecento milioni di dollari entro il 30 giugno e la negazione da parte degli ermellimi statunitensi di sospendere l’esecutività della sentenza. L’Argentina tuttavia ha riserve per circa 27 miliardi di dollari, quindi tutto bene? No, anzi.
Nei bond oggetti della decisione della corte suprema degli Stati Uniti c’è una clausola che complica di parecchio i problemi, la pari passu, che sancisce che tutti i creditori debbano essere trattati allo stesso modo, senza privilegi di sorta. Pertanto, i titoli dei vulture funds devono essere pagati esattamente negli stessi temini di quelli non garantiti. Onorare quindi la decisione dei giudici americani comporterebbe il via ad altri pagamenti per 15 miliardi di dollari, oltre la metà delle riserve, che l’Argentina non può sostenere.
A complicare ulteriormente le cose ci sono il tempo e un’altra clausola: oggi, 30 giugno, scadono le cedole del debito ristrutturato e, per via dei Rights upon future offers, pagare come imposto l’intero importo del valore nominale dei titoli ristrutturati ai fondi speculativi estenderebbe la cosa anche a tutti gli altri obbligazionisti, che si sono visti tagliare il loro investimento del 70% con i concambi. Le cifre qui si aggirano intorno ai cinquecento miliardi di dollari.

Sempre oggi è in scadenza un pagamento di poco più di 900 milioni di dollari di bond emessi dopo la ristrutturazione del debito dopo il default e che quindi nulla hanno a che fare coi problemi del 2001 ma che, vista la situazione, sono un ulteriore colpo alle casse già salassate del Paese.

L’Argentina – in seria difficoltà – si trova, al netto di miracoli, davanti a due strade: pagare gli speculatori e dichiarare default sul resto del debito oppure pagare i normali obbligazionisti andando incontro ad un default tecnico. Come andrà lo si scoprirà in queste ore, quando scadrà il periodo di grazia, ovvero i 30 giorni dalla scadenza di un pagamento in cui un debitore può effettuare il versamento senza ripercussioni di sorta.

Chi è coinvolto. Nella tempesta si trovano adesso tutti coloro che detengono obbligazioni sovrane argentine, sia quelle di nuova emissione — ovvero dopo il 2010, quando il Paese è ritornato sui mercati —, sia quelle del debito ristrutturato. A Ferrara furono circa 8500 all’epoca i risparmiatori che persero i loro investimenti nel default del 2001. Fare una stima oggi di quanti possano essere risulta impossibile, ma secondo Paolo Picci, legale di Adiconsum, non dovrebbero essere troppi: “Per quest’ultima crisi nessuno si è finora rivolto a noi — spiega. I risparmiatori dell’epoca credo e spero che abbiano venduto i loro titoli dopo la prima crisi non appena hanno potuto, coloro che li detengono ancora probabilmente sono investitori speculativi, consapevoli dei rischi”. Per le banche però c’è un discorso a parte da fare: in tutte le sentenze in cui la banca è stata ritenuta colpevole di aver venduto illegittimamente i titoli prima del 2001, la condanna comportava oltre al rimborso del risparmiatore anche la restituzione del titolo alla Cassa, che potrebbero quindi ancora figurare nel suo portafoglio titoli. A tirare fuori il tema è proprio Picci: “Alcune sentenze sui bond argentini sono relativamente recenti, e questo potrebbe far sì che la banca ne abbia ancora nel suo portafoglio titoli”. Carife, contattata sul tema da estense.com, ha assicurato tramite la sua segreteria generale di non avere in pancia nessun titolo argentino, né ristrutturato né tantomeno di nuova emissione. Per tutte le altre banche tuttavia non è dato sapere se e quanti bond argentini abbiano in pancia, né tantomento se questi siano stati coperti da derivati sul rischio sovrano come i credit default swap che potrebbero contribuire a ridurre le perdite per gli istituti creditizi nella peggiore delle ipotesi.

In caso di default. Il fallimento argentino, dovesse accadere, non arriverebbe come un fulmine a ciel sereno. I detentori di titoli, nel caso non si siano assicurati in qualche modo o siano riusciti a rivenderli, si ritroverebbero senza cedole e senza capitale investito, ed è al momento impossibile prevedere se verranno offerti ulteriori concambi o cos’altro potrebbe succedere. Per le banche e in generale per tutte le imprese che abbiano deciso di fare affari con le cedole sudamericane il problema si potrebbe estendere anche agli azionisti al momento del calcolo dei dividendi, anche se l’impatto potenziale è impossibile da stimare senza sapere a quanto ammontino i bond argentini nei rispettivi portafogli titoli.

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