Se niente importa
10 Giugno 2014

Giustizia e vendetta, il 23 aprile 2014

di David Zanforlini | 6 min

Mi sento di proseguire un discorso iniziato tempo fa (“giustificabile e atroce”, ndr) e per poterlo fare devo farvi, anzitutto, tornare con il pensiero all’alba della nostra civiltà, alla prima richiesta che il membro di un piccolo villaggio preistorico ha fatto al suo capo-villaggio: ho subito un torto. Mi dai tutela? punisci il colpevole?

E a questo punto il capo-villaggio ha iniziato ad arrovellarsi su come aiutare il questuante, sapendo che doveva agire e dare indicazioni condivise dalla propria comunità, pena la perdita della propria autorità ed autorevolezza, e subito si è posto un duplice ordine di soluzioni: era facile decidere favorendo l’appartenente alla propria comunità se il torto veniva attribuito ad un estraneo alla stessa comunità. In questo caso era semplice: a nessuno della comunità sarebbe interessato se il giudizio di colpevolezza e la sanzione conseguente fosse stato comminato ad uno sconosciuto, a un “non appartenete alla comunità”. Completamente differente era il caso in cui l’accusato fosse un membro della stessa comunità; il capo si trovava ad affrontare la richiesta di vendetta della vittima nei confronti di un altro appartenete alla comunità che per ovvi motivi, contava su di un appoggio, più o meno forte, all’interno della stessa collettività. La soluzione comportava grosse difficoltà poiché era necessario contemperare esigenze di giustizia, con quelle di tutela sociale dei clan.

Problema certamente difficile da risolvere se si pensa, a come fu complesso solo giungere ad una legge come quella nota del “taglione”, considerata una evoluzione sociale di successo.
Ma poi vi è stato un cambiamento, dettato sia dalla analisi politico – filosofica del crimen, sia dalla comprensione che risultava difficile attribuire la colpa solamente ad uno dei contendenti, ma soprattutto dalla difficoltà di comprendere la verità, spesso dissimulata dalle parti opposte (pensate alla saggezza e genialità di Salomone quando risolse la contesa fra le due presunte madri!) e il capo villaggio, diventato ora Re, doveva districarsi in casi sempre più difficili, che spesso occultavano, sotto la analisi fattuale, questioni di opportunità politica che interessava gruppi sempre più vasti e potenti.

Si pensi ai tanti casi di ingiustizia che sono stati comminati da regnanti insavi o corrotti, anche perché la legittimazione del regnante era diventata tale che questi non aveva più nulla da temere dal singolo membro della sua comunità, o da una singola famiglia.
Ma la storia è anche costellata da reazioni violente di singoli sudditi, che venivano comunque condannati, non solo dai tribunali, ma anche dalla opinione della maggioranza della comunità, perché quello che veniva preferito alla giustizia era, purtroppo spesso, la vendetta.
Ad un certo punto, può essere anche stato che il suddito, o cittadino che fosse, necessitasse di giustizia, perché cercava di riottenere un equilibrio fra ciò che considerava bene e ciò che vedeva come rappresentazione del male.
Purtroppo in nome di questa esigenza, più personale che sociale, si sono consumati orrendi crimini, nel nome di un bene che nulla aveva a che fare con il concetto che noi oggi abbiamo finalmente compreso, da quando abbiamo accettato la diversità di pensiero, come un principio irrinunciabile, diventando cioè finalmente tolleranti.

Una piccola parentesi: scrolliamoci di dosso il pregiudizio che il progresso sociale, politico e scientifico sia in costante miglioramento. Non si possono collocare le conquiste ottenute dall’umanità, nel corso dei millenni, su di una retta, tra due assi cartesiani, che sia in costante crescita. Anzi, molto spesso a periodi storici positivi e produttivi nell’ambito delle scienze, della politica e del progresso sociale, sono immediatamente succeduti secoli bui e poveri di ogni tutela dei diritti umani.
Certamente il nostro periodo storico è, dal punto di vista tecnologico, il più evoluto che si conosca da quando si ha coscienza della storia dell’umanità. Qualche dubbio se sia il più evoluto che ha avuto la nostra razza dal punto di vista sociale o politico.
O meglio, forse in alcune realtà statuali si può dire che vi sia stato progresso sociale e politico, ma questo progresso non può dirsi certo generalizzato, nemmeno a prendere ad esempio la vecchia Europa, figuriamoci poi la realtà di quelle aree che definiamo come il Nuovo Mondo, o, in tono un po’ offensivo, come Terzo Mondo.

Orbene, vorrei soffermarmi a fare ora qualche osservazione su di una piccola parte di questo Mondo, una parte della Vecchia Europa, sul paese in cui vivo e sono nato, l’Italia.
Il 23 aprile mi ha stupito ascoltare la notizia, non certo nuova, ma definitiva: il Cav. Berlusconi avrebbe subito la pena comminata in affidamento ai Servizi Sociali.
E’ dove può stare lo stupore che mi ha colpito, direte Voi, per una storia di cui si sapeva da mesi l’epilogo?
Un altro passo indietro prima di dare la risposta.
Il 28 aprile 1945 veniva giustiziato dal Comitato Liberazione Alta Italia Benito Mussolini, indiscusso leader del nostro paese per circa un ventennio.
Dopo circa quarant’anni, all’inizio del mese di maggio 1994, un altro leader italiano di lunga data, Bettino Craxi, si recava, di fatto ostracizzato, senza più far ritorno sul suolo, natio, in esilio sino alla morte.
Trascorsi altri vent’anni, ecco che un altro leader italiano veniva condannato, ma questa volta l’Italia non voleva più né il suo sangue, né il suo onore, ma semplicemente è riuscita a trattarlo come ogni altro cittadino, senza infierire su di lui, applicando un trattamento sanzionatorio che la dice lunga sia sul fine rieducativo, ma anche che dimostra che lo Stato (con la S maiuscola) non ha necessità di vendicare i torti subiti, che non vuole distruggere colui, o coloro, che hanno tentato di aggredirlo, ma semplicemente, forte del suo Diritto, inteso nel senso dell’insieme di Principi Costituzionali e della condivisione che ha nei cittadini dei suoi intenti e metodi, dimostra che non si può farla franca, che non è più possibile commettere reati senza che il vaglio superiore della Giustizia non si metta in moto, nel nome del Popolo Italiano: in una sola parola, che si è tutti uniti per perseguire coloro che approfittano delle Istituzioni Costituzionali che abbiamo ereditato e, credo, finalmente compreso nella loro portata, ma senza vendicarsi dei torti subiti.

Non Vi nascondo che questa evoluzione dello strumento “Giustizia” mi ha inorgoglito, così come, credo, sia stata osservata con ammirazione da coloro che, dall’estero, costantemente ci studiano.
Ora mi pare che non vi sia un’altra nazione al mondo che sia stata in grado di comportarsi con tanta civiltà nei confronti dei suoi regnanti decaduti e dei loro inevitabili crimini, perché il più grande flagello della storia, quello cioè della violenza esercitata da chi si ritiene in diritto – in nome di una ripristinata superiorità – di abusare oltre ogni limite, perpetrando le peggiori atrocità, su esseri viventi divenuti indifesi, non è la cura ma diviene, a sua volta, la patologia.

Mi ha inorgoglito perché ha dimostrato la nostra civiltà, la nostra capacità di essere forti e di non indietreggiare di fronte all’ingiustizia ed al misfatto, di saper reagire non con la cieca violenza, ma con moderazione e tolleranza, perché se colui che abbiamo di fronte ha violato un nostro diritto, questo non ci dà il diritto di ripagarlo con la stessa moneta, perché diversamente torneremmo alla Legge del Taglione ed alla sordida vendetta.

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