Se niente importa
2 Giugno 2014

Green Hill, l’accesso

di David Zanforlini | 10 min

(continua) Premesso ciò, si può meglio esplicitare quanto accertato l’ 8 giugno 2012, cioè il giorno in cui il GIP del Tribunale di Brescia consentì ai Legali di alcuni dei manifestanti che vennero arrestati il 28 di aprile del 2012, di accedere al locus commissi delicti.

Effettivamente si poté verificare che il sito Green Hill consta di almeno 5 padiglioni utilizzati a stabulario, oltre ad una palazzina ad uso uffici: quattro di questi capannoni sono destinati al puro allevamento, mentre uno più piccolo inserito nella palazzina degli uffici, era destinato alla preparazione dei beagles prima dell’invio alle aziende che avrebbero operato la “vivisezione”.

Il sito è certamente ben tenuto (soprattutto l’apparto difensivo) e ferve di lavori di manutenzione straordinaria ed ordinaria, e ciò mostra la floridezza dell’azienda in questione (nonostante dai bilanci depositati presso la Camera di Commercio risultasse che Green Hill s.r.l. fosse un’azienda in grave perdita negli anni precedenti, anche per somme rilevanti).

Era evidente la presenza di prati ad erba non sfalciata di recente, sulla quale tuttavia non vi era alcuna traccia del passaggio non solo di persone, ma tanto meno di cani, certamente da molti mesi, stante la uniformità di crescita e la condizione incolta.

Relativamente agli stabulari di cui si diceva, essi sono lunghi circa un centinaio di metri per una quindicina di larghezza ed appaiono abbastanza simili dall’esterno.

La particolarità è che essi hanno tutti un’unica porta d’ingresso, munita di una serratura elettronica a codice d’accesso, collocata sul centro di una delle facciate più lunghe, a parte, ovviamente, le uscite di sicurezza, poste all’estremità della costruzione.

Quello che si poté vedere fu l’interno di solo due dei cinque stabulari, ciò anche a causa della estrema resistenza della direzione di Green Hill s.r.l. a collaborare all’accertamento, nonostante l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Brescia.

In entrambi i casi, al momento dell’ingresso, vennero imposte ai difensori dei ragazzi arrestati il 28 di aprile tute intere di “tessuto non tessuto” e calzari in cellophane, senza però richiedere di coprire il capo e di indossare una maschera facciale: la ragione, a dire del veterinario dell’azienda, presente durante l’operazione di indagine, sarebbe stata quella di “ridurre la contaminazione” del sito, circostanza curiosa se si pensa che l’isolamento imposto poteva impedire o ridurre solo una parte (la meno importante) della contaminazione possibile e non certo quella dovuta alla respirazione delle persone (quella forse batteriologicamente più pericolosa), fra l’altro per animali che sono dietro spesse sbarre di acciaio inox e che non possono venire a contatto diretto con le persone che entravano nel sito.

Peraltro, si poté notare come i pochi dipendenti che svolgevano le proprie mansioni all’interno degli stabilimenti, durante queste operazioni di indagine, non avevano alcun dispositivo protettivo, ma unicamente una normalissima tuta da lavoro e degli stivali in gomma. Alcuni di essi, peraltro, vennero notati più volte entrare ed uscire dai locali verso l’esterno senza alcuna sostituzione di abbigliamento e comunque senza indossare alcuna protezione particolare.

Passata una piccola zona di “quarantena”, si poté accedere all’interno del capannone, che consta di due doppie file di gabbie, contenenti ognuna dai due, ai quattro cani, così dislocati probabilmente a seconda delle dimensioni e dell’età. Il numero dei cani poteva aggirarsi all’incirca in cinquecento, per ogni “lager”.

Da subito si poté constatare che effettivamente non vi erano finestre sulle pareti esterne, ma solo una striscia di pannelli translucidi inamovibili in policarbonato, di circa trenta/quaranta centimetri, posto all’altezza di due metri da terra. La sensazione che si percepì all’interno di questi capannoni – oltre al caldo soffocante ed all’aria umida e stagnante impregnata dell’odore di mangime, feci e urina – fu quella di una generalizzata e costante penombra, nonostante all’esterno vi fosse una violenta luce estiva, di uno splendido pomeriggio assolato, in una giornata di cielo terso e privo di foschia.

A questo punto, per comprendere il significato delle osservazioni svolte nell’esposto depositato alla Procura di Brescia e che l’Inquirente ha condiviso per procedere al sequestro probatorio dell’azienda e dei beagles, si rende forse necessario analizzare a sommi capi l’etologia del cane: è risaputo, difatti, che per questi animali il senso più sviluppato sia l’olfatto.

Il beagle, poi in particolare, é una razza canina che, fisiologicamente, ha necessità di socializzazione e di contatto con l’uomo, perché per questo fine è stata selezionata.

Fa parte della sottospecie deisegugi: questi sono cani che cacciano con l’uomo da migliaia di anni. La loro abilità è tutta nel naso. Per seguire una traccia non devono lavorare a contatto con l’uomo, obbedire agli ordini o eseguire esercizi a comando: il loro compito è “accendere” il naso e spegnere tutti gli altri sensi. Sono nati e selezionati solo per questo.

Chiarito ciò, e venendo ora alla condizione quotidiana di questo impianto, è evidente che i beagles contenuti negli stabulari di Green Hill in numero considerevolmente elevato (si è poi appurato che normalmente l’impianto “a regime” deteneva contemporaneamente circa duemilasettecento beagles), non venivano mai, si ripete mai, condotti all’aria aperta per tutta la vita che avrebbero trascorso all’interno di quell’allevamento, e difatti per questo motivo era assolutamente assente nell’impianto un’area idonea a questo uso.

Tantomeno vi era a disposizione personale sufficiente e qualificato per tale scopo.

Il destino di questi beagles, sino a che non venivano inviati alla sperimentazione, era, perciò, quella di rimanere nella gabbia in cui erano inseriti praticamente dalla nascita, privi di ogni esperienza olfattiva, se non per l’odore costante (di feci, segatura e cibo secco), presente nello stabulario in cui giacevano, senza possibilità di moto, o contatto, con esseri umani diversi dai pochi addetti alla nutrizione e pulizia delle gabbie, con cui, fra l’altro, si dubita entrassero mai in contatto fisicamente, vista la struttura dell’impianto costruito proprio per evitare ogni contiguità, per non parlare del numero esiguo di personale, ovviamente in relazione al numero dei cani presenti nell’allevamento: la società Green Hill annoverava fra i dipendenti solo ventitre persone (di cui almeno uno impiegato nel settore amministrativo), che, secondo una semplice stima, avrebbero dovuto occuparsi giornalmente di oltre 100 cani a testa, ammessero che fossero tutti presenti contemporaneamente durante lo stesso turno lavorativo.

Dato questo che fa comprendere quanto fosse estranea alla politica produttiva di quest’azienda interessarsi al benessere di questi animali, trattati meramente alle stregua di una normalissima categoria merceologica, non molto differente da semplice frutta o verdura.

Il punto essenziale, quindi, in definitiva, si dimostrò essere la completa assenza di uno sviluppo cognitivo e sociale di questi animali, che non potevano di fatto apprendere comportamenti utili al proprio benessere psico – fisico ed alla propria integrazione sociale, dagli altri cani e dall’uomo.

Si evidenzia questo dato oggettivo, poiché il beagle è un cane estremamente socievole, la cui tipologia comportamentale è fondata sul rapporto di gruppo. Per caratteristiche etologiche e fisiologiche tipiche di questa razza il suo “mondo” (cioè il modo di percepire ed interagire con l’ambiente circostante), è principalmente basato sull’olfatto: “L’olfatto costituisce per gli animali un mezzo di comunicazione analogo alla scrittura per l’uomo…L’acutezza olfattiva è il senso più importante per gli animali domestici, dato che il riconoscimento dell’odore individuale e dei feromoni costituisce una parte importante della loro comunicazione…il cane è la specie macrosmatica più studiata e probabilmente quella dotata di maggior acutezza olfattiva”.

E’ quasi ovvio che per ogni essere vivente e senziente l’interazione con il mondo circostante sia assolutamente necessario, e ciò avviene tramite un senso differente e con metodologie comportamentali differenti fra specie e specie.

Per il cane, e in particolare per il beagle, tale interazione si basa essenzialmente sull’olfatto e sulla socializzazione, sia con gli appartenenti alla stessa specie, che con l’uomo. In un ambiente con pochi stimoli olfattivi, sia per la tipologia della costruzione dei box, sia per la mancanza di attività esterne, sia per l’assenza di contatti con altri esseri viventi diversi da quelli che eventualmente condividevano il recinto, ne conseguiva inevitabilmente il mancato soddisfacimento dei bisogni etologici, che generava delle ricadute negative sulla crescita dell’animale e cagionava un evidente stato di sofferenza. Un ambiente di pochi o nessuno stimolo è, perciò, una situazione assolutamente negativa che incide sul benessere dell’animale, in quanto per benessere si intende “lo stato di completa salute fisica e mentale che consente all’animale di stare in equilibrio con l’ambiente”.

Poiché al calare del benessere, sale, quasi in rapporto inversamente proporzionale e progressivo, il malessere (cioè la sofferenza), ne consegue che in un ambiente nel quale gli animali non riescono ad esprimere i cd. “patterns” comportamentali si instaura una alterazione dell’omeostasi a cui l’organismo cerca di rimediare.

Se, poi, le condizioni negative persistono, si genera uno condizione di stress cronico (distress in termini anglosassoni), che è motivo di sofferenza accertata (per sofferenza si intende la percezione o la sensazione di un incombente evento rovinoso o di un danno; la sopportazione o la sottomissione ad uno stress fisico o mentale, dolore o danno.

Molteplici ricerche scientifiche hanno verificato che l’isolamento in un ambiente privo di (o con pochi) elementi in grado di permettere l’espletamento dei principali bisogni etologici è causa di stress nei cani. Come ricorda il lavoro della Dott.ssa Michelazzi: “E’ ormai riconosciuto che mantenere l’animale in gabbia o in ambiente privo di stimoli fisici e sociali, può condurre alla comparsa di comportamenti alterati“. Il confinamento in un box privo di stimoli – non solo olfattivi – impedisce evidentemente la possibilità di espletare i basilari e fondamentali patterns etologici dei cani, come degli altri animali, quali si possono ricavare dal testo di Bernard Rollin “Il lamento inascoltato”: “condizionamento e apprendimento, capacità sensoriali, abitudini generali, comportamento riproduttivo, comportamento di alimentazione e comportamento sociale“.

Le attività che si riconducono a tali categorie sono, per quanto concerne condizionamento e apprendimento, l’esplorazione, il gioco, il movimento; per la capacità sensoriali: l’esplorazione ambientale; per le abitudini generali: il dormire, il riposarsi, il toelettarsi; per il comportamento riproduttivo: la ricerca del partner; per il comportamento di alimentazione: le abitudini alimentari, la ricerca del cibo; infine, per il comportamento sociale: i rapporti con consimili o con l’essere umano.

Nella sostanza, ognuna di queste fondamentali situazioni, necessarie per un corretto sviluppo psico – fisico, erano precluse ai beagles di Green Hill, in una logica di mera speculazione aziendale produttiva, intesa a sacrificare il benessere dell’animale per ottenere la massima ottimizzazione del profitto economico.

Non solo, per comprendere appieno la condizione stress cronico a cui erano sottoposti i beagles da Green Hill, basti pensare che veniva loro di fatto preclusa ogni possibilità di appartarsi (le gabbie non avevano un luogo in cui l’animale potesse sottrarsi alla vista dei suoi consimili), di poter vivere senza un eccessivo inquinamento acustico (in ognuno di questi capannoni vivevano detenuti contemporaneamente circa cinquecento cani, con punte inquinamento da rumore elevatissime), in condizioni di caldo eccessive (durante le operazioni di sequestro sono state registrate temperature all’interno dei capannoni di quasi 30 gradi, nonostante l’impianto di areazione forzata e condizionata fosse a pieno regime e nonostante la normativa per l’allevamento di animali di questo tipo preveda una temperatura massima di 21 gradi); in sostanza senza avere un luogo di riposo e tranquillità, se non il pavimento del box (era presente all’interno della gabbia in cui erano detenuti i beagles, una strettissima mensola rialzata di circa 30 cm. da terra, talmente stretta da non consentire a molti dei cuccioli di potersi stendere per il riposo, figurarsi poi per i cani adulti e le fattrici), e di fatto in una generale situazione di insufficiente attività fisica, per non dire poi dell’insufficienza di ogni stimolazione mentale e della privazione del gruppo.

E’ quindi evidente che una vita confinata permanentemente in una gabbia, senza possibilità di esplorare ambiti diversi, con poca o nessuna facoltà di esercitare la capacità olfattiva (particolarmente spiccata nei cani) in assenza di aree idonee per il riposo riparate dallo sguardo e dalla visione di altri esseri, sia della medesima specie, sia umani – si ribadisce – in mancanza di rapporti sociali intesi come possibilità di interazione con soggetti diversi (sia perché il cane è mantenuto singolarmente, sia perché convive con uno solo o pochissimi soggetti), tutte situazioni che inevitabilmente producono uno stato di stress e, quindi, in estrema sintesi, questa condizione di “deprivazione sensoriale” produce sofferenza.

Grazie per aver letto questo articolo...
Da 18 anni Estense.com offre una informazione indipendente ai suoi lettori e non ha mai accettato fondi pubblici per non pesare nemmeno un centesimo sulle spalle della collettività. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati non sempre è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge e, speriamo, ci apprezza di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di ferraresi che ci leggono ogni giorno, può diventare fondamentale.

 

OPPURE se preferisci non usare PayPal ma un normale bonifico bancario (anche periodico) puoi intestarlo a:

Scoop Media Edit
IBAN: IT06D0538713004000000035119 (Banca BPER)
Causale: Donazione per Estense.com