Anche se non è ‘politicamente corretto’, chiunque conosca un po’ di storia sa che ‘antifascismo’ non equivale a ‘libertà e democrazia’. E’ vero che molti antifascisti combattevano in nome di questi valori, ma ancor più numerosi erano coloro che al contrario propugnavano un sistema totalitario da imporre con la forza una volta sconfitto il fascismo, cioè il comunismo sovietico. E non a caso furono questi ultimi a rendersi responsabili degli eccidi commessi alla fine della guerra.
Migliaia e migliaia di giovani reduci della Rsi, di professionisti, possidenti, intellettuali, religiosi… furono massacrati non per colpe personali, che tranne in casi isolati non avevano, ma per spianare la strada alla ‘seconda ondata’ che si doveva concludere con l’instaurazione del regime comunista anche in Italia. E tra le vittime molti furono proprio antifascisti ‘bianchi’ – visti anzi dai ‘rivoluzionari’ comunisti come i nemici più pericolosi. Anche i partigiani titini, del resto, fecero fuori per primi proprio gli antifascisti istriani e giuliano-dalmati, perché erano i soli rimasti ad avere la legittimazione per difendere l’italianità di quelle terre.
Mentre finita la guerra i partigiani non comunisti (monarchici, liberali, democristiani…) consegnarono subito le armi per dedicarsi alla ricostruzione di un Paese in macerie, molti comunisti – che erano ormai la stragrande maggioranza – se ne guardarono bene, continuando ad uccidere i potenziali avversari – inermi ed indifesi – ancora per mesi e mesi, fino a quando fu chiaro a tutti che, in base agli accordi di Yalta tra Stalin e le potenze occidentali, l’Italia non sarebbe mai diventata una ‘Repubblica Popolare’.
Fino a quando questa verità non verrà riconosciuta, la festa del 25 Aprile manterrà un significato di parte, perpetuando persino a 70 anni di distanza l’equivoco su cui il Pci costruì la propria legittimazione politica, ossia il convincimento che tutti gli antifascisti combattessero per la libertà, mentre purtroppo i democratici veri erano solo una parte, e per giunta minoritaria.
Alberto Balboni