Recensioni
17 Aprile 2014
Al Museo Nazionale del Bargello

Una mostra su Baccio Bandinelli

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Al Museo Nazionale del Bargello si è aperta la prima mostra monografica dedicata allo scultore fiorentino Baccio Bandinelli, una mostra ricolma di scoperte e di sorprese che riposiziona il cavalier Bandinelli nella costellazione dei massimi scultori della straordinaria Firenze del Cinquecento, a cura di Detlef Heikamp e Beatrice Paolozzi Strozzi (catalogo Giunti).

Bandinelli fu un “universale artefice”, secondo il giudizio del Vasari (che pure non gli fu amico): un giudizio che la mostra intende quasi provocatoriamente confermare – in questo anno di celebrazioni michelangiolesche – per restituire infine al Bandinelli la sua posizione di spicco nel panorama della scultura italiana della Maniera e per ristabilire la verità su un artista ancora ammiratissimo nel Sei e Settecento, ma condannato all’ostracismo della critica negli ultimi due secoli, fino ad oggi. La biografia del Bandinelli – dopo quelle di Michelangelo, del Vasari stesso e di Raffaello – è la più estesa fra le Vite vasariane: è uno scritto tormentato, considerando l’odio tra i due artisti, ma in cui Vasari è infine costretto ad ammettere la grandezza di Baccio, “terribile di lingua e d’ingegno”.

I suoi committenti principali furono dapprima i due papi di casa Medici – Leone X e Clemente VII – e poi il duca Cosimo I: nessun dubbio è possibile sul livello che allora si richiedeva ad un artista per ambire a simili incarichi, che videro Bandinelli primeggiare su tutti i concorrenti e assicurarsi, a Firenze e non solo, le imprese artistiche più impegnative e più rappresentative della prima metà del secolo, mantenendo un indiscusso credito e prestigio.

La parte iniziale e più rilevante della mostra è stata ambientata nella Sala di Michelangelo, perché tutte le opere lì esposte hanno a che fare con Bandinelli: quelle dei suoi maestri, come Michelangelo e il Rustici; quelle dei suoi coetanei, come Jacopo Sansovino, il Tribolo e soprattutto il Cellini, suo eterno nemico; quelle dei suoi allievi, come Vincenzo De Rossi e Bartolomeo Ammannati; infine, quelle del suo successore alla corte granducale, il Giambologna. Per comprendere finalmente l’arte di questo controverso scultore, ciascuna delle opere presenti in sala, in esposizione permanente, offre innumerevoli spunti di riflessione, attraverso il confronto diretto con l’antologia bandinelliana che vi è temporaneamente raccolta.

Il Bacco, il Tondo Pitti e il Bruto di Michelangelo, che il visitatore incontra per primi, fanno da premessa non solo all’arte del Bandinelli ma alla sua vita, dominata dall’aspirazione a superare i vertici espressivi e la fama raggiunti dal Buonarroti, che proietterà su di lui la sua ombra fino alla fine. Il percorso della mostra inizia con i suoi esordi d’enfant prodige nella bottega del padre Michelangelo di Viviano, orafo di prim’ordine e fiduciario di casa Medici, esercitandosi senza sosta a copiare gli antichi e i maestri del Quattrocento, anche in rilievo. Giovanissimo, conferma le sue doti straordinarie superando nel disegno coetanei di gran talento come il Rosso, il Pontormo, Jacopo Sansovino: un’eccellenza che gli riconosceranno tutti gli ‘intendenti’ e che dovrà ammettere persino il Vasari. La dimostrano d’altronde i tanti straordinari disegni esposti in mostra: quelli giovanili (ispirati a Donatello, a Michelangelo, a Leonardo) e in molti altri – della collezione degli Uffizi, ma quasi ignoti – nei soggetti e nelle tecniche più varie, spesso tradotti poi in incisione e copiati da pittori ceramisti; oppure elaborati dall’artista in raffinati rilievi. A parte la presenza saltuaria di Michelangelo, la Firenze della sua prima giovinezza è soprattutto una città di pittori: e con la pittura Bandinelli esordisce neppure ventenne. Prove deludenti, per un così celebrato “disegnatore”, per via soprattutto del colore, che manca alle sue corde: lo conferma la Leda (1512), unico suo dipinto superstite di questo tempo ed esposto al pubblico per la prima volta, grazie al prestito della Sorbona.

La scelta del giovane Bandinelli si orienta dunque definitivamente alla scultura, cui già Leonardo l’aveva incoraggiato anni prima. Che il suggerimento fosse giusto, lo dimostra il Mercurio del Louvre, dello stesso anno, entrano ben presto nelle collezioni del re di Francia. Ma Baccio vuole “far grande” e così è a Roma, ai capolavori dell’arte antica e soprattutto a Michelangelo che egli lascia la sua sfida ‘titanica’, che lo vedrà sempre sconfitto, criticato spesso fino al dileggio nonostante la protezione dei due papi Medici, Leone X e Clemente VII. Dopo l’exploit fiorentino con l’Orfeo in Palazzo Medici (1519), si susseguono le ‘imprese’ romane i Giganti di Villa Medici, la copia del colossale Laocoonte antico (oggi agli Uffizi), le Tombe papali in santa Maria sopra Minerva, altri grandi progetti incompiuti; poi finalmente, l’Ercole e Caco, da affiancare al David michelangiolesco sul fronte di Palazzo Vecchio: la commissione più ambita, che riesce a strappare al Buonarroti e che sarà oggetto di secolari derisioni e fonte di infinita amarezza per Bandinelli.

In mostra le immagini video mostrano tutte le opere monumentali realizzate da Baccio nel corso della sua vita. Esse spiegano perché all’insediarsi di Cosimo I, egli sia stato scelto come scultore ufficiale della corte e come ritrattista del duca, insieme a Bronzino: in mostra, il raffinato busto marmoreo di Cosimo I è posto accanto al coevo ritratto del Bronzino (della Galleria Sabauda), a sottolineare l’affinità dei due artisti e l’ascendente di Baccio, l’altro di Benvenuto Cellini. Alla metà del secolo, Bandinelli si aggiudica le più importanti commissioni fiorentine: gli arredi scultorei della Sala dell’Udienze in Palazzo Vecchio e del Coro della Cattedrale.

Per quest’ultimo, il Bandinelli immaginò un insieme grandioso e rivoluzionario, anche dal punto di vista dottrinario: in mostra, accanto ai candidi marmi dell’Adamo e Eva, che – scandalosamente nudi – testimoniavano dietro all’altar maggiore la purezza primigenia dell’uomo, una serie di rilievi di Profeti del recinto del coro dimostrano nella “varietà” delle pose tutto l’ingegno di Baccio. Il percorso della sala si conclude con la costruzione (attraverso tutte le opere originali) della “stanza” di Palazzo Vecchio in cui Cosimo volle riunire le più belle figure ‘moderne’: e qui il Bacco di Bandinelli torna a confondersi col David-Apollo di Michelangelo, col Bacco di Jacopo Sansovino e col Ganimede del Cellini.

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