Lettere al Direttore
18 Aprile 2014

Gli auguri di Pasqua di Monsignor Negri

di Ruggero Veronese | 5 min

Carissimi figlie e figlie, uomini e donne di buona volontà,

ci sorprende ancora una volta l’annunzio incredibile e pur realissimo, come ebbe a definirlo in un suo intervento il Papa Emerito Benedetto XVI, della Pasqua di Gesù Cristo. Nell’evento della sua umiliazione fisica, psicologica, affettiva e morale è contenuta la grande ed unica novità per l’uomo, la storia e il cosmo: l’Uomo risorge con Cristo. Nell’incontro con Lui, crocifisso e risorto, ci viene rivelata la nostra identità profonda e ci viene aperta l’unica reale possibilità di attuare pienamente questa identità, secondo le misure definitive di Dio. L’uomo rimane per se stesso un essere incomprensibile. La sua vita è priva di senso se non incontra l’amore e questo è un passo fondamentale del n. 10 della Redemptor Hominis. La prima confidenza del Vescovo con i suoi figli e figlie, e con tutti gli uomini di buona volontà, è dunque la confidenza nella grande certezza pacificante e gioiosa che la nostra vita in Cristo ritrova il suo senso profondo e il suo dinamismo essenziale. Seguire Cristo quotidianamente può significare sempre di più essere vicini alla sua risurrezione in modo che, già nel corso della nostra vita storica, la dimensione del quotidiano non sia più la nostra individualità, con tutte le sue grandezze e i suoi limiti, ma sia la certezza che, in Cristo, ogni uomo è chiamato a risorgere.

Questo annunzio pieno di pace e di gioia che incontra oggi ciascuno di noi, e gli uomini che ci vivono accanto in questa così complessa e lacerata realtà sociale, ci trova in un momento di crisi che sembra addirittura inutile evocare per l’evidenza macroscopica che essa ha nella nostra vita sociale. È una crisi che ormai si afferma in tutti gli spazi, in tutte le dimensioni, in tutti i rapporti, nelle problematiche della vita quotidiana, personale e sociale, e nelle dimensioni anche più ampie della vita economico – politica a livello globale: è possibile che l’uomo muoia.

In un mondo come questo tornano profondamente inquietanti le grandi trepidazioni di Sant’Ireneo di Lione che nel suo secolo richiamava, cristiani e non, a questa possibilità reale, ossia che l’uomo scompaia come avvenimento di vita, di libertà, di coscienza, di impegno morale e di attenzione alla vita familiare e sociale. L’uomo può scomparire mortificato e immiserito da una concezione e da una prassi di vita personale e sociale che sembra costruita sul nulla e non sulla domanda di verità, di bellezza, di bene e di giustizia che caratterizzano l’uomo di ogni tempo e in ogni tempo, e che costituiscono la radice ultima della sua identità e della sua dignità. Poche generazioni come la nostra possono misurare tutta la grazia della Pasqua di Cristo.

Fuori dalla Pasqua di Cristo sembra inevitabile ed inesorabile il dominio del nulla, e della negazione pervicace, pervasiva ed empia, dell’essere a tutto vantaggio di colui che del nulla è il custode e il protagonista attivo nella storia della Chiesa e della società: il demonio. Solo Gesù Cristo, morto e risorto, ha sconfitto il demonio e i suoi progetti e i suoi piani empi e perversi. Per questo dal profondo di questa società, spesso più dominata dal nulla che dal desiderio della verità e del bene, che potrebbe essere la tomba della nostra vita, noi oggi apriamo il nostro cuore e la nostra esistenza all’uomo-Dio Gesù Cristo che, portando i segni della sua umiliazione, mostra a tutti il volto radioso di chi, risorto per Dio e con Dio, si pone sulla strada di ogni uomo come unica possibilità di vita, di verità, di bellezza e di giustizia. Lasciatemi dunque chiedervi di aprire un’altra volta, come la prima volta, il vostro cuore, la vostra intelligenza, la vostra affezione, la vostra umanità pur segnata da tanti limiti, all’annunzio della Pasqua di Cristo per ritrovare in essa, e solo in essa, la radice della vita nuova e il movimento di fede che fa diventare questa vita nuova esperienza, sacrificio e letizia quotidiana. Rivolgo il mio augurio a coloro che nella vita della comunità e nella società sono i più deboli: i poveri. I poveri che hanno fame di pane, di fede, di verità e di cultura. Questo tremendo dilagare di povertà nella vita del nostro popolo, in forme inedite e gravissime, tende a spegnere in molti la stessa capacità di rischiare e di osare.

Rivolgo il mio augurio ai malati, e soprattutto a quelli che sono nella fase conclusiva della loro vita, perché l’imminente passaggio alla beatitudine, attraverso la morte e il definitivo incontro con Cristo, li introduca in una situazione di perfezione, nella quale possano contribuire efficacemente alla nostra vita quotidiana di Chiesa, ai suoi sacrifici, alle sue fatiche. Ai bambini che nel mondo di oggi finiscono per essere un grande popolo di umiliati in quelle esigenze che difficilmente la società sarà in grado di accogliere e di svolgere in maniera positiva, ma soprattutto violati, troppo violati, anche nel contesto della vita della nostra società, nella loro innocenza e quindi nella loro dignità, perché si realizzi il desiderio di una bellezza di vita e di una positività in tutti gli aspetti della loro esistenza. Agli anziani, soprattutto a quelli che sono ancora in grado di contribuire in maniera vera e viva alla vita delle famiglie e della società. Per loro il mio augurio diventa anche un ringraziamento per tutto quello che sanno rappresentare nella vita delle giovani generazioni ovvero la memoria storica di una tradizione, umana e cristiana, che ha reso grande il nostro popolo e la nostra civiltà nel corso dei secoli. Essi ce la testimoniano nella semplicità e molte volte nella silenziosa ed umile vita di ogni giorno. Noi, accogliendo questa loro testimonianza, questo loro insegnamento, ci impegniamo a rivivere la tradizione del nostro popolo nell’attualità della nostra esistenza per un futuro che porti di più i segni della fede e quindi i segni di un’autentica umanità. Ai giovani, perché siano veri collaboratori della gioia del Risorto. Alle famiglie, perché trovino in Cristo la forza per accogliere le gravi sfide lanciate dalla Modernità, superandole nella verità di quell’Amore che il Signore ci ha offerto fin dagli inizi con la creazione e, negli “ultimi tempi”, con la Redenzione.

Infine permettetemi di rivolgere un particolare augurio a tutti i miei sacerdoti e ai miei seminaristi che in quest’anno di ministero episcopale tra di voi ho conosciuto, apprezzato e cercato di guidare con amorevole fermezza. Andate fino in fondo nel vostro rapporto d’amore con Cristo, nella Chiesa e con il Vescovo, e non permettete che nulla vi distolga dal cuore della vostra esistenza: Cristo morto e risorto.

A tutti voi chiedo di pregare intensamente per me e per il non facile servizio episcopale che ormai da più di un anno vivo per il bene di questa Arcidiocesi.

Vi auguro una Santa Pasqua e vi benedico tutti di cuore.

Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa

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