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15 Aprile 2014
Ricordando i cantori della ferraresità e il loro destino

Bassani, Rossi, Roffi e il dialetto ferrarese, qualche anno dopo…

di Redazione | 2 min

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Soldati e Bassani a Saturnia

Soldati e Bassani a Saturnia

Il 13 aprile del 2000, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, scomparvero Giorgio Bassani, il Cantore della Ferraresità a tutto tondo, e il cugino, Gianfranco Rossi.

Ambedue studiosi, letterati, amanti e cultori del cinema e molto di più, ma, soprattutto, innamorati della ‘loro’ Ferrara che non dimenticarono mai nei loro scritti, più o meno velatamente o eclatantemente.

Figli e padri di parte della cultura del Novecento a tutto tondo, erano di fede ebraica: per essa, nel ’38, subirono dolorosamente le ingiurie delle leggi razziali, ferite indelebili, indimenticabili che segnarono, per sempre, la loro ars poetica ed il loro modus vivendi et operandi.

Di Giorgio Bassani  si può ben dire che molto amasse, poiché molto la citò nei suoi scritti, la lingua dialettale di casa sua che, diceva, si manifestava sempre nel vero Cittadino Estense:

 “Il vero ferrarese – affermava – si esprime in italiano, ma termina ogni suo ragionamento con una frase in lingua dialettale, per rafforzare quanto vuole esprimere”. Un concetto, mutatis mutandis, che aveva fatto suo anche il senatore Mario Roffi, mecenate d’elezione per decenni, come è ben noto, per la Città di Ferrara, lui modenese – spilambertese – di nascita, mancato alla sua città d’adozione nel marzo del 1995.

E l’aveva talmente fatto suo da esaltare la traduzione in lingua dialettale ferrarese eseguita dall’intellettuale Giulio Neppi, ai primi del Novecento, di un ‘classico’ come l’Aminta, la bella favola pastorale di Torquato Tasso, lui che, come Bassani, era gran traduttore di classici internazionali come Racine o Keats.

Si eran conosciuti Bassani e Roffi, in età giovanile: lo scrittore, in Roma, Inverno ’44 (Pagine di un diario inedito), pubblicato per la prima volta solo nel 1964, lo afferma quasi di sfuggita, una piccola citazione-ricordo, quasi velata, si direbbe, tra le righe, di pudore, chissà perché.

Il breve testo è la narrazione drammatica e dettagliata, in già puro stile bassaniano, di ciò che accade nella Capitale tra il 25 gennaio e il 19 febbraio.

E’ il periodo in cui collabora con “Italia libera”, organo degli Azionisti e compone numerosi versi. In estate è a Napoli, città già liberata dagli anglo-americani, dove incontra Longanesi, Mario Soldati, che diverrà uno dei suoi sodali più vicini ed intimi,  Omodeo, Trombadori, Elena e Alda Croce e, probabilmente, l’altro grande Ebreo ferrarese da poco mancato, Arnoldo Foà, allora speaker in chief ed autore di testi per la radio alleata.

Un anno di grande dolore, quel ’44,  per Giorgio Bassani: una parte dei suoi congiunti rimasti a Ferrara sarà deportata nei campi di sterminio di Buchenwald.

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