Cronaca
26 Febbraio 2014
Sgominata associazione per delinquere con base a Palermo. Ordinanze eseguite in tutta Italia

Operazione ‘Cala Spa’, a Fiscaglia uno dei 27 arresti

di Redazione | 6 min

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carabinieri arresto genericaAnche i carabinieri di Copparo sono stati impegnati nell’operazione “Cala S.p.a.” che ha portato allo smantellamento di un’associazione per delinquere dedita a truffe, riciclaggio e furti per svariati milioni di euro, attraverso accesso abusivo a sistemi informatici e complesse operazioni finanziarie. L’operazione, condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo coordinati dalla locale Direzione distrettuale antimafia, ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 27 persone (5 sottoposte al regime della custodia cautelare in carcere e 22 a quello degli arresti domiciliari) e al sequestro preventivo di otto complessi aziendali degli arrestati per un valore di circa 10 milioni di euro.

All’associazione per delinquere appartenevano, ognuno con specifiche competenze professionali, imprenditori, avvocati d’affari, bancari e banchieri esteri, cracker, consulenti finanziari e mediatori creditizi, consulenti aziendali, ragionieri e dottori commercialisti, immobiliaristi e periti assicurativi. Il contributo dei militari di Copparo è stato quello di arrestare un consulente finanziario siciliano, nativo di Palermo, Calogero Marino detto Gino, di 69 anni, coinvolto nell’associazione per delinquere  che aveva trovato ospitalità presso una persona domiciliata a Fiscaglia.

Le indagini sviluppate costituiscono il proseguimento delle attività che, nel febbraio 2009, hanno condotto all’operazione denominata convenzionalmente “Senza Frontiere”, con l’esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 12 appartenenti a ‘Cosa nostra’. Le investigazioni avevano consentito di ricostruire le dinamiche operative della famiglia mafiosa di Villabate in un delicato periodo di transizione, quello successivo all’arresto di Giovanni D’Agati, successore di Nicola Mandalà nella reggenza della consorteria. L’analisi dei soggetti in contatto con gli ambienti mafiosi villabatesi aveva fatto orientare le attenzioni investigative nei confronti di Lorenzo Romano, abile uomo d’affari palermitano risultato essere a capo di una associazione per delinquere dedita alla commissione di reati contro il patrimonio.

Romano, titolare della “Advisor Team”, nel 2010 stava pianificando assieme ad altri una sottrazione fraudolenta di ben 40 milioni di euro da conti del Monte dei Paschi di Siena, cioé dalla Cassa previdenza nazionale dipendenti Mps e dal Fondo complementare dipendenti Mps. Il denaro, una volta sottratto, sarebbe stato trasferito in un conto corrente della “Falcon Bank” di Zurigo e da lì, tramite successive operazioni “estero su estero”, in paradisi fiscali oltreoceano. Il riscontro i carabinieri l’hanno avuto grazie all’intercettazione di una telefonata tra l’avvocato Alfredo Tortorici, che aveva ideato l’operazione (ed era residente in Gran Bretagna), e il bancario Francesco Spataro, impiegato in una filiale di Palermo del Monte Paschi. Alla stessa operazione dovevano partecipare anche alcuni abili cracker (Fabrizio Spoto, Giuseppe Burrafato e Alessandro Aiello), oltre al banchiere svizzero Robert Da Ponte e al consulente finanziario di Pordenone Paolo Porisiensi. In particolare, Spataro aveva dapprima sottratto la documentazione riservata da un’agenzia del Monte Paschi di Spiena di Palermo (manuali operativi e codici di identificazione di alti dirigenti della banca) e, successivamente, aveva consentito a uno dei ‘cracker’ dell’organizzazione, Fabrizio Spoto, di accedere clandestinamente ai locali della filiale allo scopo di creare, attraverso l’utilizzo di una ‘smart key’, un collegamento telematico con l’esterno. Sulla base degli elementi raccolti, i carabinieri del Nucleo Investigativo, d’intesa con la Procura della Repubblica di Palermo, al fine di evitare che il reato fosse consumato, avevano allertato la direzione generale del Monte dei Paschi di Siena del concreto rischio che i sistemi di sicurezza informatica della banca potessero essere violati. In tal modo si era consentito all’istituto di credito di attivare le necessarie difese informatiche per impedire che gli attacchi telematici potessero avere successo.

Dalle indagini è inoltre emerso che Giovanni Perrone, imprenditore edile di Castelvetrano (Trapani), in passato indagato per associazione mafiosa, era in possesso di un ingente quantitativo di valuta estera, marchi tedeschi e dollari americani, giacente in un istituto di credito svizzero. Perrone, in collaborazione con l’avvocato Antonio Atria, anche lui di Castelvetrano, con Lorenzo Romano e il perito assicurativo Dario Dumas, avevano tentato di immettere sul mercato valuta estera fuori corso (1 milione e mezzo di marchi) e certificati di deposito in dollari americani (8 milioni) attraverso la loro vendita a un prezzo inferiore rispetto al valore di cambio. Nell’operazione avrebbero svolto un ruolo determinante i mediatori finanziari Eros Sivieri (imprenditore torinese), Germano Zanrosso (imprenditore di Vigevano) e Nicola Stagi (imprenditore di Viareggio). Le indagini hanno permesso di documentare, a San Marino, a Montecatini Terme e a Bologna, importanti incontri tra gli indagati, nonché di recuperare le fotografie delle banconote a riprova della loro effettiva disponibilità. Anche in questo caso sono risultate fondamentali le intercettazioni telefoniche intercorse tra Romano e Perrone.

Si è poi accertato attraverso le indagini che l’associazione per delinquere aveva posto in essere un articolato sistema finalizzato a creare fideiussioni bancarie false da utilizzare in operazioni fraudolente. Anche in questo caso, hanno giocato un ruolo determinante soggetti con specifiche professionalità quali impiegati di banca, imprenditori, liberi professionisti ed esperti finanzieri, ciascuno con specifici compiti finalizzati alla commissione delle truffe e alla successiva spartizione dei profitti illeciti. L’affare più remunerativo avrebbe dovuto riguardare ancora una volta il Monte dei Paschi di Siena, da cui il dipendente Francesco Spataro aveva trafugato dei moduli per la stipula di polizze fideiussorie. In concreto, il gruppo criminale, attraverso false garanzie fideiussorie e avvalendosi di una delle società facenti capo all’imprenditore di Corleone Eustachio Fontana, avrebbe effettuato un grosso ordinativo di merce che sarebbe stata rivenduta subito dopo la consegna e mai pagata al fornitore perché, intanto, la società debitrice sarebbe fallita.

Dalle indagini anche emerso che l’associazione per delinquere era impegnata anche in operazioni illecite attraverso il meccanismo delle cosiddette “cessioni del quinto dello stipendio”. La truffa prendeva le mosse dall’individuazione di soggetti disoccupati da almeno due anni (e ciò al fine di lucrare anche i vantaggi fiscali connessi) che, dopo essere stati assunti in una delle società di fatto riconducibili al Fontana, facevano richiesta di prestito personale a società finanziarie, con l’impegno di restituzione in rate da trattenere dalla busta paga. Il danaro ottenuto in prestito, quantificabile per ciascuna operazione in circa 11.000 euro, veniva spartito fra il sodalizio e i lavoratori, ma non veniva mai restituito in quanto il dipendente veniva licenziato e la società datrice di lavoro dichiarata fallita. Il licenziamento prima del fallimento consentiva anche di lucrare, ai danni dell’Inps, l’indennità di disoccupazione di circa 9.000 euro per ciascun lavoratore.

Le indagini hanno permesso di accertare la partecipazione di Francesco Spataro a una rapina miliardaria messa a segno, il 2 maggio del 1995, ai danni di una filiale del Monte dei Paschi di Siena di Messina. In quell’occasione Spataro, che era dipendente di quell’agenzia, fu indagato, ma la sua posizione processuale presto archiviata. Con le recenti indagini sono state acquisite prove inconfutabili a suo carico in merito alla rapina, commessa, a suo dire, da appartenenti a “Cosa nostra” palermitana per conto dei quali aveva svolto il ruolo di “basista”.

L’imprenditore corleonese Eustachio Fontana, da quanto emerso, risultava formalmente titolare della sola ditta “Fontana srl”, mentre di fatto gestiva una rete fittissima di aziende, intestate a prestanome e operanti in svariati settori economici, delle quali aveva già programmato il fallimento. Tutte società che i carabinieri hanno posto sotto sequestro.

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