Lettere al Direttore
13 Febbraio 2014

Viale K: “Addio S.M., con te muore una rinascita”

di Redazione | 4 min

Pubblichiamo integralmente la lettera che Raffaele Rinaldi –  direttore dell’associazione Viale K – idealmente invia a S.M., l’uomo di 50 anni trovato ieri senza vita al Barco per overdose da eroina.

Ciao S.,
oggi nel primissimo pomeriggio gli agenti della Questura hanno bussato forte alla porta dell’ufficio. Mi chiedevano di te. L’orario insolito e l’incalzare delle domande mi avevano fatto pensare che l’avevi combinata grossa, oppure che ti eri cacciato in un bel pasticcio. Vanno via in fretta. Da un pezzo che non venivi in ufficio, perché troppo impegnato tra le attività dell’Associazione e la borsa lavoro. Poi, da quando ti sei trasferito, ci siamo persi di vista.
Torno alla mia scrivania: ”No! S.M., no!”. Rimango impietrito, come davanti allo sguardo di Medusa, nel leggere i titoli di alcuni giornali on-line: “Trovato morto nei giardini del Barco”, “Muore di overdose davanti alle poste”, “Eroina, 50enne trovato morto vicino alle poste del barco”. Non sono parole, ma pugnalate. La crudele conferma viene dal volto sbiancato di Francesca, che ha appena finito di parlare con Don Bedin il quale – presumo – l’abbiano chiamato per un riconoscimento. Faccio un giro di telefonate agli operatori che in qualche modo lo hanno conosciuto. Posso dire che oggi ho sentito declinare S. in diversi modi: il 50enne ferrarese, il tossicodipendente, l’utente, la scheda, il paziente, il drogato, mentre mi rimane scolpita la memoria di una persona che una volta mi chiese di accoglierlo perché voleva rimettersi nella carreggiata giusta, abbandonando i sentieri delle proprie resistenze e i sottoboschi delle soluzioni provvisorie, aveva voglia di rispecchiarsi nell’acqua pulita e calma della speranza, voleva mettere ordine nella scacchiera della sua vita per riprendere la partita là dove l’aveva sospesa, voleva dimostrare a se stesso e ai suoi cari che una rinascita dalle ceneri di un passato grigio era possibile, perché ardeva ancora la voglia di esserci.

Una rinascita. Proprio come quella del capretto che avevi fatto nascere con le tue mani quella mattina di maggio, metafora vivente della tua di rinascita, quel tuo “già e non ancora”, quei traguardi raggiunti e già da superare. Ricordi? I tuoi amici hanno chiamato loro figlio con il tuo nome, quale gesto di profonda amicizia e simbolica di tempi nuovi, allegoria di una nuova rigenerazione.
S., non so quale grosso macigno abbia sbarrato la tua strada, non riesco ad immaginare cosa abbia intorpidito e avvelenato la tua speranza, quale pedina della tua vita sia mancata per poter proseguire la partita, in quale maledetta rete si sia impigliata l’ala della rinascita.

Non so S., mi rimane l’unica certezza che la persona è un mistero, anche a se stesso.
Certo è che hai scatenato diversi commenti sia sui social network che nella gente di passaggio, tutti alla ricerca delle cause, di etichette per spingere inconsciamente il più lontano possibile l’idea che una simile sorte non abbia nulla a che vedere con il nostro modo di vederti, ma piuttosto sia legata alla fatalità della sfiga.
Si, Angela era proprio lui. Lo so, sei arrabbiata al telefono mentre ti sfoghi dicendomi che se una persona ha avuto problemi di dipendenza è qualcosa che si appiccica addosso, anche se passi tutta la vita per scrollartela di dosso.
Ecco S., se sei d’accordo credo che anziché parlare di sfighe individuali bisogna parlare di sfide culturali da raccogliere, dove alla cultura dello “scarto” bisogna rispondere con un’etica del volto, alla strategia professionale del distacco coniugare la prossimità spontanea, le nostre impennate utopiche di progetti lungimiranti devono scendere a patti con la sofferenza e la richiesta di aiuto qui ed ora.

Forse caro, S., è mancato quel “faccia” a “faccia”, dove anche le domande mute vengono fuori, dove il desiderio di relazioni autentiche si fa capire, dove non sei più solo una maschera o una categoria.
In generale la più grande povertà culturale è quella di non riuscire a “vedere” la povertà dell’altro come povertà, ma parte del degrado urbano. Forse questo è stato infinitamente più micidiale di quella maledetta siringa che ti hanno trovato accanto.
La tua non è una lezione da imparare o semplicemente un caso di cronaca nera, ma un padre e un marito che non c’è più, una assenza pesante nella nostra città.

P.S: non preoccuparti S., ho avvisato l’assistente sociale di non aspettarti più.

Dr Raffaele Rinaldi
Direttore dell’associazione Viale K

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