L'inverno del nostro scontento
4 Febbraio 2014

Perché boicotto la Granarolo

di Girolamo De Michele | 10 min

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Premessa: è un post che richiede tempo, perché contiene alcuni link che completano quello che voglio dirvi. Sono informazioni essenziali per capire cosa sono, oggi, lo sfruttamento e il razzismo, anche e soprattutto quando si mascherano da cooperative, sindacati e partiti “di sinistra” – o forse, semplicemente sinistri.

Cominciamo con una foto. Ricordate la scorsa estate, quando l’indignazione estense s’intiepidiva per la foto di una volante dei vigili al McDrive? Beh, ecco una variante. Gli agenti in servizio ai cancelli della Granarolo, dov’era in atto un picchetto dei lavoratori della logistica (d’ora in poi li chiameremo facchini), escono dal magazzino con buste e contenitori bianchi. Non sono in grado di dire se, come viene facile pensare, in quei pacchi ci siano prodotti Granarolo, né se si tratti di un dono, o cos’altro: lascio al lettore. Certo che se fosse [sottolineo il se fosse: periodo ipotetico della possibilità] un omaggio, sarebbe qualcosa di molto simile a un atto illegale. Se…

mozzarelle_granarolo

Un picchetto ai cancelli: perché? Che succede alla Granarolo? Lascio la parola ai lavoratori in sciopero:
«La multinazionale dei latticini continua a credere che i diritti dei lavoratori non debbano essere rispettati, tanto più se sono migranti costretti dal ricatto che le leggi sull’immigrazione impongono loro. La Granarolo (come tante altre aziende della logistica) ha sfruttato i suoi facchini nascondendosi dietro la lunga catena dei subappalti cooperativi. Ma quando quegli “schiavi” hanno alzato la testa e hanno deciso di scioperare appoggiati dal Si.Cobas sono stati licenziati, colpevoli di aver tradito l’immagine aziendale e di aver scelto un sindacato conflittuale, accusati persino di aver rilasciato dichiarazioni pubbliche.
La lotta dei facchini è durata tre mesi con picchetti davanti ai cancelli in cui in tanti hanno portato la propria solidarietà, altri lavoratori, precari e studenti. Non sono servite le forze dell’ordine, né le denunce ad intimorire una lotta che è diventata comune, simbolo di una sollevazione di quelli che si pensava dovessero rimanere gli ultimi. La lotta dei lavoratori della Granarolo è la lotta di tutti coloro che credono che la dignità umana non possa essere negata dalle ragioni del profitto. Dopo tre mesi di una dura lotta è intervenuta anche la Prefettura siglando un’accordo tra le parti che prevedeva la riassunzione di tutti i 51 lavoratori. I facchini sono stati di parola e hanno sospeso la loro battaglia sottoposti al ricatto della perdita della Cig. Ma Granarolo, Legacoop e tutte le altre aziende coinvolte non hanno fatto lo stesso, sperando che l’unità dei facchini e dei solidali si affievolisse» (dal comunicato #18ott #BloccaGranarolo, 17.10.13).

Se volete una ricostruzione più dettagliata e analitica, c’è l’ottimo reportage del giornalista Leonardo Bianchi, qui: → http://www.vice.com/it/read/lavoratori-logistica-italia (è consigliabile leggerlo, prima di procedere).
Di quali condizioni di lavoro stiamo parlando? Perché, mentre Renzi ci viene a dire che “è di sinistra creare lavoro, non parlarne” e ci ricorda che siamo usciti dal Novecento, c’è chi indugia in opere vintage come scioperi, picchetti, blocchi dei cancelli, addirittura volantinaggi davanti e dentro le Coop?
540 € al mese per turni di 10 ore giornaliere (estensibili, a cortese richiesta non declinabile di straordinario non retribuito, a 11-12), con tute da lavoro inadeguate (dentro le celle frigorifere la temperatura è di 4°).

evangelisti_il_sole_dell_avvenireSento già qualche modernista dire: lo sciopero è roba da Novecento. Beh, leggetevi l’ultimo romanzo di Valerio Evangelisti, Il sole dell’avvenire, per farvi un’idea di quali erano le condizioni di lavoro nell’Ottocento (in Romagna, nello specifico), e capirete che sono le stesse di cui si parla qui. Come dire: un conto è uscire dal Novecento, un altro è uscirne dalla porta posteriore e ritrovarsi nell’Ottocento.
Però latte e formaggi freschi li vogliamo tutti nel frigo: una conquista del Novecento alla quale i cantori del nuovo millennio non pare vogliano rinunciare. Bene: già che tutti vogliamo cibi freschi in casa, chiediamoci come ci arrivano, al nostro frigo. Chiediamoci se accetteremmo, sul nostro luogo di lavoro, quello che si cerca di imporre ai facchini della Granarolo (e dell’Ikea, di Amazon, ecc. ecc.). E perché mai dovrebbero accettarlo loro. In tempi recenti eravamo riusciti a chiederci: è giusto che per un pallone da calcio un bambino pakistano debba essere sfruttato e privato dell’istruzione? E allora, perché per una bottiglia di latte o una fetta di formaggio un lavoratore deve essere decurtato del 35% dello stipendio? Perché la sua famiglia dev’essere affamata?

Eravamo rimasti al 18 dicembre. Cos’è successo, in questo mese e mezzo?
I lavoratori che dovevano essere reintegrati lo sono stati? NO.
Granarolo e Legacoop hanno rinunciato ai profitti derivanti dall’uso di cooperative di intermediazione che sfruttano i lavoratori? NO.
E i facchini? Sono stati caricati, manganellati, gasati con gli spray (per la gioia del “Cili Pepper Fan Club”). Sono stati arrestati (in violazione delle leggi sul lavoro) i delegati sindacali – che il competente giudice non ha potuto che rimettere in libertà, anche perché non avevano commesso alcun reato).
Guardate questo video, e ascoltate cosa dicono i nostri gendarmi al camionista bloccato dal picchetto: [→ http://www.youtube.com/watch?v=7iyh99GWnUQ; fate attenzione al minuto 0:40]

Si, avete sentito bene: incitano il camionista a metterli sotto col TIR!

Dopo la voce del gendarme, ecco di nuovo la voce dei facchini:
«A difesa di questo sistema, soprattutto in questi giorni, si è alzata da più parti la “voce del padrone”: alle cariche della polizia, e allo schieramento di forze mediatiche di Legacoop e degli industriali, che invocano un “sindacalismo responsabile”, si è aggiunto addirittura un appello bipartisan di senatori democratici e berlusconiani che invocano i ministeri competenti affinché intervengano contro i blocchi. Non poteva poi mancare la presa di posizione della Filt-CGIL, che ha accusato il sindacato SiCobas e i lavoratori migranti della logistica di creare una “guerra tra poveri” con le loro lotte e le loro vertenze. Questo, oltre ad essere inaccettabile, è anche ridicolo: l’unica guerra è quella fatta ai poveri da parte dei colossi della cooperazione, che attraverso la precarizzazione estrema e il ricatto del permesso di soggiorno hanno guadagnato miliardi sulla pelle delle e dei migranti e precari. Un sindacalismo responsabile difende i lavoratori, e non fa come la CGIL, che in questi anni ha sempre rifiutato di scioperare contro la legge Boss-Fini, arrivando al punto di definire lo sciopero migrante del primo marzo 2010 come “sciopero etnico”. Il vero irresponsabile è chi si schiera contro i lavoratori quando rivendicano salario e diritti. Non è la lotta ma lo sfruttamento a essere “etnico”, perché si fonda su gerarchie iscritte sulle linee del colore e della provenienza».

boicottaggio_granarolo

Nel frattempo, la Granarolo mette in campo il suo potere mediatico, comprando paginate di pubblicità sui giornali locali per sostenere che non c’entra con queste accuse. Ma chi è il committente dell’appalto? «È la Granarolo, afferma un comunicato dei Cobas, l’azienda che appalta e subappalta senza assumersi responsabilità! Chi è che non applica il Contratto nazionale Logistica ai facchini? È la Granarolo attraverso i subappalti. Chi è che evade su contributi e tasse pagando irregolarmente i facchini degli appalti? È sempre la Granarolo».

In questa storia si mescolano vecchi e nuovi sfruttamenti, nei quali il razzismo al tempo stesso sembra non c’entri, e c’entra. Il vecchio sfruttamento è quello di accumulare profitti sottraendo al lavoratore dal giusto salario (facciamo finta che ne esistano) quote consistenti della ricchezza che produce col suo lavoro: e qui colore della pelle, lingua, nazionalità non c’entrano. Un lavoratore – anzi: un proletario – è un proletario, perché la forza-lavoro (cioè la capacità di produrre ricchezza attraverso il lavoro) non conosce la “linea del colore”.
Ma al tempo stesso, è una nuova forma di sfruttamento in cui il razzismo c’entra, eccome. Perché a queste condizioni – determinate dalle gare al ribasso sui costi delle cooperative di facchinaggio – è inevitabile che a svolgere quel lavoro, a quelle condizioni, siano solo dei migranti, che hanno da perdere, oltre che la pagnotta, il permesso di soggiorno. Come le gare al ribasso minimo causano la penetrazione mafiosa nel mondo dell’edilizia e degli appalti, così causano condizioni di sfruttamento razzistico le basse retribuzioni delle cooperative «che utilizzano  la forza lavoro dei migranti nel disprezzo dei loro diritti, sfruttandoli finché c’è da guadagnarci per poi gettarli in mezzo ad una strada quando non servono più o quando protestano. Cooperative come scafisti senza alcuno scrupolo di fronte alla possibilità di un guadagno» (comunicato del Laboratorio Crash di Bologna). Il razzismo non è solo il commento becero sul web, il manichino sporco lanciato contro il ministro Kyenge, il boooh delle curve, lo sciacallaggio elettorale per ramazzare qualche voto: razzismo è anche e soprattutto la creazione delle condizioni materiali della discriminazione razziale. E razzisti sono quelli che queste condizioni creano, favoriscono, incrementano con pensieri, opere e omissioni.

Tutte cose che la Granarolo finge di ignorare: «Come azienda, non mi assumo impegni verso costoro», ha dichiarato al “Sole 24 ore” il suo presidente Giampiero Calzolari. Peccato che la legge italiana preveda che sia il committente il principale responsabile dei comportamenti illegittimi dei riceventi appalti: è il committente – cioè la Granarolo – che deve rispondere in pieno di fronte alla legge, sanando tali inadempienze contrattuali e salariali (ci sarebbe poi la capacità di pressione “morale” che la Granarolo e Legacoop potrebbero esercitare sulle cooperative in subappalto – e ci sarebbe anche mio nonno, che se avesse avuto tre ruote sarebbe stato una cariola…).
Dice che gira sotto scorta e teme per la su incolumità, Calzolari: sarà… Quel che è certo è che della scorta ne avrebbe avuto bisogno Fabio Zerbini, coordinatore a Milano del Si Cobas, il sindacato di base che organizza le lotte nel settore della logistica, che è stato attirato in un agguato, pestato a sangue e minacciato di morte: in perfetto stile ‘ndranghetino (la notizia è qui: → http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/15/milano-pestato-sindacalista-se-continuano-scioperi-fai-una-brutta-fine/845159/).

Si parlava, nel comunicato soprastante di un appello di senatori del PD e di Forza Italia. Ma le larghe intese non erano con gli alfaniani? Andiamo a vedere: l’appello (per essere precisi: l’interrogazione parlamentare urgente al ministro degli interni) è firmata da: Rita Ghedini, Francesca Puglisi, Maria Teresa Bertuzzi, Sergio Lo Giudice, Leana Pignedoli, Gian Carlo Sangalli, Daniela Valentini (PD), Adele Gambaro (ex M5S, Gruppo Misto), Luigi Marino (Per l’Italia), e Anna Maria Bernini, vicepresidente del gruppo senatoriale di FI.
Larghe intese all’emiliana, dunque.
In questo appello di parla delle violenze subire dai lavoratori? Certo che no: si fa una ricostruzione della vicenda che sembra scritta dall’ufficio stampa della Legacoop, e si invita il ministro degli interni (quello che un tempo era non a caso chiamato “ministro di polizia”) a prendere provvedimenti contro collettivi e centri sociali di cui non solo si fa il nome, ma si indicano i siti. In altri termini, dopo aver indossato i panni del questurino, queste senatrici e senatori alle armi della critica – perché altro non troverete, in quei siti – rispondono invocando le armi dei gendarmi.
Tanto vale, allora, chiedere provvedimenti contro i dipendenti comunali che hanno solidarizzato con i facchini donando loro 300 buoni pasto, o contro i lavoratori degli asili nido e delle scuole materne bolo­gnesi che hanno annun­ciato un boi­cot­tag­gio dei pro­dotti Gra­na­rolo perché, hanno scritto, «non vogliamo che i nostri bam­bini siano com­plici dello sfrut­ta­mento».
Che i  senatori del PD accorrano in difesa degli sfruttatori, e indichino per nome al ministro della polizia i dissenzienti da colpire, è un segno dei tempi. Ma ho già detto, su questo blog, che quella della “differenza antropologica” tra la destra e questa sinistra è una favola.

C’è una morale da trarre? Forse, più che una morale, un alfabeto, o un dizionario. Viviamo in un tempo in cui si è perso il senso delle parole: è tempo di ricominciare a chiamare le cose col loro nome. Un “lavoratore” è un lavoratore, un “proletario” è un proletario, uno “sciopero” è uno sciopero, uno “sfruttato” è uno sfruttato.
Così come un “padrone” è un padrone, uno “sfruttatore” è uno sfruttatore, un “crumiro” è un crumiro, un “servo dei padroni” è un servo del padrone“: anche se si mascherano da padroni, sfruttatori, crumiri, servi “di sinistra”. E un “razzista” è un razzista.
Per quel che mi riguarda, un proletario sfruttato è mio fratello, che venga da Castenaso o dal Marocco, dal Senegal o da Ferrara; uno sfruttatore – o un servo che accorre a supporto dello sfruttamento – è mio nemico, anche se ha in tasca la tessera della Legacoop, della CGIL o del PD. Gusti miei.
Nel frattempo, latte, mozzarelle e yogurt Granarolo, sempre per quel che mi riguarda, possono restare sugli scaffali fino a scadenza: finché i miei fratelli facchini non saranno reintegrati e contrattualizzati, i miei pochi spiccioli possono scordarseli. E anche il mio voto, ça va sans dire.

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Nel caso voleste saperne di più su come sostenere la lotta dei lavoratori della logistica, date un’occhiata al sito Scarichiamo Granarolo, qui:http://scarichiamogranarolo.noblogs.org/.

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