Politica
29 Gennaio 2014
Danno erariale per portavoce. I rilievi di Zappaterra e assessori erano già stati smontati nell'atto di citazione

Corte Conti, la difesa della giunta ‘strapazzata’ da pm

di Marco Zavagli | 5 min

cortedeicontiLoro rigettano le accuse della Corte che li vuole condannare al risarcimento di un presunto danno erariale da 226.070,99 euro, ma quei rilievi erano già stati superati nell’atto di citazione. La difesa sostenuta dalla presidente Marcella Zappaterra e dagli assessori della Provincia di Ferrara nella nota congiunta inviata alle redazioni era già stata analizzata dal procuratore della Corte dei Conti. Analizzata e confutata punto per punto.

Nelle 63 pagine dell’atto di citazione figurano infatti le controdeduzioni del sostituto procuratore generale Marcello Iacubino alle prime memorie presentate dagli amministratori chiamati in causa.

A partire dalla mancanza di un titolo di laurea nel curriculum della portavoce. Per gli amministratori provinciali tale requisito “non trova alcun conforto nella disciplina legislativa e regolamentare di riferimento”.

Il pm fa notare invece che il “legislatore ha voluto ancorare lo svolgimento di detto incarico alle prescrizioni del personale in regime contrattualizzato, escludendo l’applicazione di regole privatistiche”. Ne consegue che “anche detto Ufficio deve trovare corrispondenza nell’assetto organizzativo dell’Ente di riferimento (cosa non avvenuta nel caso della Paltrinieri che aveva “un emolumento unico sostitutivo al di fuori di ogni parametro normativo o contrattuale e svincolato da ogni previa valutazione dei criteri e dei valori contrattuali di riferimento, ndr), posto che, come ritenuto dalla Sezione Giurisdizionale per la Toscana, sent. n. 622/2004, gli uffici di staff entrano a pieno titolo nella dotazione organica e seguono tutti i criteri del personale dipendente”.

Nella prospettiva della difesa, poi, la norma di cui all’art. 90 del Tuel darebbe titolo a costituire una sorta di struttura politica o ‘para-politica’, non inquadrabile nella struttura organizzativa dell’ente, siccome connotata dallo svolgimento di funzioni “inerenti l’ambito politico”. Ma in questo modo, obietta Iacubino, “si consentirebbe di svolgere un ufficio politico, secondo schemi differenti da quelli disegnati dalla legge (elezione a consigliere comunale, o assessore nominato dal capo dell’amministrazione locale), in violazione del principio di legalità; inoltre, se tale assunto fosse accolto, non si dovrebbe erogare ai collaboratori dell’ufficio di staff un corrispettivo a fronte di una prestazione lavorativa, bensì un’indennità o un gettone di presenza, tipici dell’ufficio politico”.

Secondo Zappaterra e assessori poi, “l’incarico dato non prevedeva che tra le competenze dell’incaricata ci fossero quelle proprie delle figure dirigenziali. Era chiaro il ruolo ausiliario di supporto della collaboratrice rispetto ad una figura di vertice dell’Ente”. Al procuratore tocca ricordare che “è la stessa legge ad affidare all’ufficio di staff una funzione di raccordo tra l’organo politico e quello burocratico per l’attuazione dell’indirizzo politico; anzi ne costituisce l’intima essenza, cui possono aggiungersi anche altri compiti, come venivano aggiunti nel caso di specie”.

Non solo, “la stessa presidente ha dimostrato di essere ben a conoscenza di quella funzione”. La Zappaterra, infatti, in una e-mail del 19 marzo 2012 con la quale rispondeva al consigliere Rorato, autore dell’interpellanza (che chiedeva chiarimenti in merito alla congruità del trattamento economico riconosciuto al capo di gabinetto), “riteneva proporzionato detto trattamento in considerazione della posizione che questi assume, che è di ‘cerniera’ tra l’apparato politico e quello amministrativo, nonché della funzione svolta, di ‘interfaccia’ tra la presidente e la dirigenza, quale raccordo tra i due e referente dell’indirizzo politico della presidente”.

In sostanza a Rorato venne detto il contrario di quanto sostenuto nella nota congiunta. “In tale posizione il capo di gabinetto – aggiunge Iacubino – non poteva non trovarsi in un una posizione sovraordinata rispetto ai dirigenti e ai funzionari di categoria D (la Paltrinieri era in categoria C, ndr) preposti agli uffici”.

Bypassato l’ostacolo del titolo di laurea assente, la nota del Castello sostiene che nell’incarico “mai si fa riferimento a ruoli di gestione o direzione”. Affermazione alla quale il pm risponde ricordando che le “deleghe si riferiscono alla rappresentanza della Provincia in tre enti (Ferrara Arte, Istituto studi rinascimentali e Acer”.

La difesa cita poi a suo favore una sentenza della sezione pugliese della Corte dei Conti, che nega la necessità della laurea per un caso simile. Peccato però che in quel caso “l’incaricato era destinatario solo delle funzioni – ben più limitate – di responsabile addetto all’ufficio di segreteria particolare del capo dell’amministrazione e all’ufficio stampa”.

Quella sentenza poi diventa un boomerang secondo il procuratore, dal momento che proprio in essa è contenuto il principio per cui “l’assunzione dei dipendenti esterni da assegnare a detti uffici debba avvenire esclusivamente con contratto di lavoro subordinato, con conseguente applicazione delle previsioni dei CCNL del comparto”.

La nota di Zappaterra e assessori citati ricorda infine che “ogni atto assunto dalla sottoscritta e dalla Giunta è sempre stato supportato da pareri positivi sulla legittimità e le regolarità espressi dai tecnici tenuti a renderli”. E infatti il procuratore imputa a Maria Grazia Adorni la colpa grave di “non aver applicato, lei dirigente del settore del personale e perciò dotata di particolari cognizioni e competenze in materia, i principi regolatori e le regole del settore cui era a capo”. L’Adorni doveva cioé “evitare di sottoscrivere un contratto invalido, attributivo di una categoria professionale non corrispondente alle declaratorie contrattuali e di funzioni che presupponevano il possesso del titolo di studio della laurea”. Anzi, doveva “far rilevare alla giunta la macroscopica debordanza del riconoscendo trattamento economico rispetto ai criteri normativi e di buona amministrazione”.

Quanto ad Angelo Nardella, il segretario generale ha avuto una “condotta omissiva in sede di adozione della delibera, poiché con il suo comportamento passivo e inerte avallava la adozione dell’atto e avvalorava la legittimità della decisione in corso di adozione, offrendo alla giunta una copertura legale per giustificare scelte amministrative contrarie al principio di legalità e buona amministrazione”.

Le due versioni torneranno a scontrarsi il 26 marzo, davanti al giudice contabile.

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