Lettere al Direttore
2 Dicembre 2013

Arsa viva in un capannone. Qualcuno ha scritto: “un cinese in meno”

di Redazione | 3 min

Non so scrivere, non so leggere, so solo il mio dialetto. Nel villaggio tutti se ne vanno in città. Ho un figlio, non riesco a dargli da mangiare. Uno zio mi ha chiamato all’estero, mi ha detto che possono farmi avere dei soldi se li raggiungo. Bisognerà pagare qualcuno per farlo, ma alla fine potrò spedire i soldi a mio figlio, perché vada a scuola, impari a leggere e impari un mestiere, perché non abbia un destino come il mio. Mi dicono che a Shanghai, a Shenzhen, è come a Parigi, che sono tutti felici e tutti fanno i soldi e sono liberi. Chissà se la luna è più vicina di quei posti? Per me lo è. Non so dove sono, non so come arrivarci, non so cosa farei laggiù, non conosco nessuno, non si parla la mia lingua. Invece lo zio dice che in pochi giorni troverò un posto dove altri parlano la mia lingua e che mi dirà lui cosa devo fare per lavorare.

Venendo qua, dal treno ho intravisto luoghi stranissimi e bellissimi. L’estero è proprio un altro pianeta. Però dove sono ora non è tanto diverso dalla periferia del villaggio. Gli stessi capannoni e le stesse strade impolverate che sostituirono le risaie quando quel funzionario ci disse che era ora di modernizzare. Qui però si guadagna davvero tanto, e io ne sono davvero grata allo zio. Non ho ancora visto uno stipendio tutto per intero perché mi trattengono una parte per le spese del viaggio. Finirò di pagarle tra anni e anni ma non importa, preferisco non pensarci e spedisco tutto al mio bambino lasciato in Cina. Mi tengono nascosta, perché un alloggio vero costa troppo e poi così sono già pronta sul luogo del lavoro senza stancarmi col trasporto. Lo zio sa quello che dice, lui ne tiene tanti come me e dice che non è mai successo niente, e poi non sono irregolare, si sta qui nascosti solo perché la residenza risulta troppo lontana dal capannone. Dice che qui hanno leggi cattivissime contro chi vuole rispettare tutto onestamente, e che quindi è impossibile fare davvero le cose in regola, dice che qui fanno tutti così, anche e soprattutto gli italiani. Che basta conoscere la gente giusta. Che tanto i cavi in vista e le bombole di gas le hanno dappertutto e non è mai successo niente. Io mi fido di lui, e poi la gente del posto in fondo ci vuole bene, ci capisce perché ha sempre fatto le stesse cose che facciamo anche noi, ma io ho paura a farmi vedere; molti credono che siamo clandestini o che evadiamo le tasse, e poi io non so neanche la lingua locale, come farei a spiegarglielo? Lo zio invece parla il mio dialetto, lui sì che lo capisco.

Ho mandato tutto il mio stipendio a mio figlio. Ogni giorno dopo tutte quelle ore al telaio non ne posso più ma il pensiero del mio bambino mi spinge a continuare a lavorare sodo. Se non lo faccio, lui avrà la mia stessa, miserabile vita, e anche se mi chiedo sempre se lo rivedrò mai, è come se lui fosse qui, accanto a me, e ogni minuto in cui credo di aver perso la forza lui riesce a ridarmela.
Sono arsa viva stamattina in un capannone a Prato. Qualcuno ha scritto: “un cinese in meno”.

Centro Interculturale Italo-Cinese

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