Lettere al Direttore
30 Settembre 2013

Barilla e i gay? Questione di marketing

di Redazione | 3 min

Decaduto o non decaduto? E le nozze di Belen, belle vero? Ma il governo cade o non cade? E dei Velini di “Striscia la notizia” ne vogliamo parlare?

In un paese in grave recessione dovuta a quell’onnipresente crisi economica che stiamo vivendo, gli argomenti che più fomentano la cittadinanza sono proprio questi: inezie da poco conto, quisquilie superflue che altro non fanno che alimentare il gossip. A rincarare la dose ci mancava solo Barilla con l’esternazione del patron Guido a proposito della “tradizionale” famiglia messa in mostra nei suoi spot: “Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay perché noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”, sentenziò Guido Barilla al programma radiofonico “La Zanzara”, scatenando un sacco di polemiche e fomentando la classica divisione fra coloro che appoggiano l’idea della cosiddetta famiglia tradizionale e quelli invece che danno lezioni di sociologia ricordandoci che le famiglie in realtà sono di tanti tipi diversi, senza che vi sia una concezione univoca sull’idea stessa di nucleo famigliare.

Ma il concetto sollevato da Barilla, a mio avviso, non si pone affatto su un livello socio-antropologico di fondo, bensì è di tipo puramente commerciale. Barilla, come qualsivoglia altra marca, veicola determinati valori ed allo stesso tempo si rende disponibile ad un’investitura di valori provenienti proprio dai consumatori, generando così una sorta di “patto comunicativo”, di contratto fra produttore e consumatore oppure, detto in termini tecnici, fra enunciatore ed enunciatario, legati assieme dal discorso di marca (l’enunciato). Trattasi dell’ ABC dell’analisi del marketing e del discorso di marca in generale e stupisce come le dichiarazioni di Guido Barilla tanto facciano discutere: la marca Barilla ha deliberatamente deciso di rappresentare un tipo di famiglia e del resto non avrebbe di certo potuto rappresentarli tutti. Vale lo stesso discorso per altre marche, come Nike, che in ogni spot ci propina atleti intenti a destreggiarsi in qualche sport, come dire che per indossare scarpe Nike bisogna per forza essere degli sportivi. È evidente che le cose non stanno affatto così: se Nike ha scelto di rappresentare nei suoi spot l’utilizzatore tipo dei suoi prodotti (lo sportivo), Barilla ha deciso di raffigurare la famiglia tipo per il consumo della sua pasta (padre, madre e figli/o). Si tratta di un discorso inclusivo e non esclusivo poiché queste scelte non escludono aprioristicamente qualsivoglia altro consumatore, ovvero un consumatore diverso da quello presente nel discorso pubblicitario. Nessuno vieta a nessuno di utilizzare alcunché e stupisce ancor di più come i consumatori omosessuali solo ora si accorgono del tipo di famiglia veicolata da Barilla: se davvero è presente il sopraccitato patto comunicativo, anche i consumatori omosessuali hanno deliberatamente accettato le condizioni di questo contratto, sono stati accondiscendenti, hanno recepito positivamente quell’immagine di nucleo famigliare che proprio adesso si ritrovano a contestare.

In definitiva, Guido Barilla non ha fatto altro che ribadire l’idea veicolata dal marchio sulla famiglia, ed è un’idea soggettiva, arbitraria, propria della marca in questione; è un valore in cui crede e nel quale ha fondato il proprio nome: trattasi di idea personale, di libera manifestazione del pensiero, non invece di un diktat politico, di un’impostazione culturale obbligata. E per rimarcare ancor di più l’ovvietà di questo discorso, non bisogna dimenticare che la pubblicità parla un linguaggio tutto suo, fatto di miti e di iperboliche capacità del prodotto, il tutto inserito in un contesto fantastico, surreale, immaginario, che nulla ha da spartire con la realtà: se il discorso pubblicitario si limitasse a perseguire pedissequamente il reale non vi sarebbe alcun bisogno della pubblicità stessa e delle logiche del marketing. Invece, ogni marca è libera di veicolare i valori che desidera così come ogni consumatore è altrettanto libero di condividere o respingere quei valori, ritrovandoli magari in una marca diversa: ad esempio, il sottoscritto preferisce la marca “Garofalo”.

Nicolò Canazza

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