Attualità
8 Maggio 2013

Non può fare a meno di Lei

di Elena Bertelli | 5 min

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“Potrei dire che ha i capelli castano chiaro e le labbra rosse come una caramella rossa leccata, quella inferiore graziosamente tumida… oh, fossi io una scrittrice e potessi farla posare nuda in una nuda luce! […] Ma lei non è neppure una fragile fanciulla di un romanzo rosa. A farmi impazzire è proprio la duplice natura di questa ninfetta, di tutte le ninfette, forse; questo miscuglio nella mia Lolita, di tenera sognante puerilità e di una sorta di misteriosa volgarità che ha le radici nella bellezza vistosa e comune, tipo naso all’insù degli annunci pubblicitari e delle riviste illustrate…”

Ma che avrà avuto questa giovane creatura per ossessionare a tal punto Humbert Humbert?

Credo abbia a che fare con quel potere che appartiene all’essere donna e che distingue nettamente il maschile dal femminile non solo nel genere umano.

Oggi mi va di parlare di questa caratteristica vitale per la creatività, essenza femminile indispensabile al proemio di eroiche imprese, che senza musa a narrar dell’eroe multiforme, che tanto vagò… Omero mica sarebbe riuscito a farlo tornare in patria, il Re di Itaca. In un’epoca in cui la donna è ancora, in modo inaccettabile, vittima di mostri violenti, mi va di pensare alla sua importanza nell’arte, come Dea invocata dagli autori classici a sostegno della narrazione di vicende di uomini guidati dal fato a cambiare le sorti della civiltà o, in tempi moderni, come Diva inafferrabile, la cui presenza accompagna la sensibilità dell’artista alla creazione.

Non c’è artista che non abbia musa a cui essere grato per aver ispirato il capolavoro, o alla quale lanciare maledizioni per averlo condotto alla folle deriva. Entrambe le cose si possono probabilmente dire di Raffaello e della sua Margherita, prima Velata di sete dorate e poi (s)vestita di un velo sottile che scopre i seni e lo sguardo furbetto della Fornarina, la classica femmina che sai già ti fregherà ma non lo puoi evitare.

La musa non incarna la bellezza oggettiva, l’artista la sceglie inconsapevolmente, perdendosi in quel nonosochè che la rende ispiegabilmente unica, “quella fatalità, che in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)”** per dirla con Roland Barthes. Ed ecco che Michelangelo Antonioni, alla perfezione algida e raffinata di Lucia Bosè finì per preferire il volto irregolarmente drammatico, enigmatico, struggente di Monica Vitti cui fece vestire i panni di Giuliana, Vittoria, la Regina, nei capolavori dell’incomunicabilità.

È una figura femminile capace di trasportare, di farsi adorare per le ginocchia spigolose, i capelli biondi e la voce dal timbro maschile, così come Nico o Edie Sedgwick, che tanto diedero da fare a Andy Warhol.

È il simbolo della forza e della purezza di un’idea da difendere, quando si tratta di arte a sfondo sociale, e così, con Cindy Sherman, l’artista diventa musa di sè stessa attraverso la metamorfosi di un corpo, manipolato e alterato, a stento riconoscibile, di quella donna.

A chi pensasse che queste donne appartengano a una cerchia di elette, a chi si chiede come si diventi la musa ideale risponderei che musa non si nasce, musa non si diventa, non c’è Clio Makeup che possa soccorrervi. Per come la vedo io, sono i sensi di chi è in cerca di ispirazione che, posandosi sopra a una creatura, hanno il potere di farle subire quella metamorfosi in qualche cosa di ricco e di strano. Insomma, non rattristiamoci, c’è speranza per tutte, prima o poi, di asservire al nobile processo creativo.

E se pensate che la guida di poeti e artisti possa essere esclusivamente di natura umana vi sbagliate. Conosco artisti le cui opere sono state ispirate da oggetti-femmina e luoghi-femmina, capaci di suscitare le suggestioni più forti. E qui entrano in gioco la Natura, la Morte, una Città, una Nota musicale, una Fotografia che si osserva e un’Aria che si respira.

Ho recentemente incontrato Daniele Cestari, artista ferrarese, di ritorno da un’esperienza negli USA. Mi ha raccontato del suo soggiorno a Indiana (No, non lo stato, la città di Indiana, vicino a Pittsburg), di come sia riuscito nell’intento di vivere e di dipingere la vera periferia americana, «dove girano su quegli enormi fuoristrada con il fucile a canne mozze sul sedile posteriore…». «E com’è il nuovo continente, ti trasferiresti?» gli ho chiesto. Mi ha risposto dicendo che non ci pensa nemmeno di vivere in una nazione così diversa, ricca di contraddizioni e povera di bellezza, che, qui da noi, invece, permea ogni cosa, solo che non ci facciamo più caso. Tuttavia mi ha confessato che spera di tornarci presto, perchè nel mese che ha trascorso in quella cittadina dimenticata da Dio, prima di spostarsi a Boston, dove si è fatto conoscere in un’importante galleria, ha dipinto senza sosta, influenzato dalle forme urbane, dai contorni delle case, appena visibili sotto la coltre di neve che contribuiva a rendere tutto così inospitale. Ed ecco il ‘punctum’, il punto ‘sensibile’, la ferita che cattura l’osservatore, dell’opera di Daniele Cestari: quel fascino sublime di un paesaggio inospitale che attira respingendo; l’atmosfera che ci piace osservare quando siamo consapevoli di essere così lontani dall’eventualità di viverla in prima persona.

Alcuni di questi lavori saranno esposti alla mostra ‘Inside Out’ a Grosseto dal 24 maggio, all’interno del Cassero Senese, vi consiglio di non perdervi la vernice.

Prima di chiudere, all’esempio di una città divenuta agli occhi del pittore elemento femminile di ispirazione, voglio far seguire il canto della ninfa che mi ha portata a riflettere su quanto si legge in queste righe.

A cinque tese sott’acqua

Tuo padre giace.

Già corallo

Son le sue ossa

Ed i suoi occhi

Perle.

Tutto ciò che di lui

Deve perire

Subisce una metamorfosi marina

In qualche cosa

Di ricco e strano.

Ad ogni ora

Le ninfe del mare

Una campana

Fanno rintoccare. ***

* Vladimir Nabokov, Lolita, Milano, Mondadori, 1959, p. 70

** Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 2003, p. 28.

*** William Shakespeare, La tempesta, Milano, Feltrinelli, 2012, p.51

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