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5 Febbraio 2013
A Verona quattro ampie sezioni tematiche per una mostra in bilico tra sacro e profano

Da Botticelli a Matisse

di Redazione | 2 min

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PONTORMO_001m   bddi Maria Paola Forlani

Ha riaperto fino al 1° aprile, nel Palazzo della Gran Guardia a Verona, la grandiosa mostra sul ritratto e la figura che Marco Goldin ha proposto, in prima edizione, nella Basilica Palladiana di Vicenza. I dipinti presenti nell’attuale edizione veronese sono sostanzialmente i medesimi già esposti a Vicenza, con l’aggiunta di un nucleo davvero importante di capolavori tutti provenienti da una meravigliosa istituzione rumena, il Muzeul National Brukenthal di Sibiu, antichissima città della Transilvenia, che per i suoi monumenti è stata capitale europea della cultura. Dal museo rumeno, famoso tra gli appassionati di tutto il mondo, sono giunti a Verona quattro opere del XV secolo su tavola. Tre sono capolavori tra i maggiori dell’arte fiamminga, il quarto è un rarissimo Antonello da Messina, la Crocefissione, datata 1460.

Le opere fiamminghe sono di Hans Memling e Jan van Eyck. Di quest’ultimo è esposto il celeberrimo “Ritratto d’uomo con copricapo azzurro” del 1429, (logo della mostra). Di Memling sono presenti un dittico con “Ritratto di uomo che legge” e un “Ritratto di donna in preghiera”, entrambe opere del 1490. Sviluppata in quattro ampie sezioni tematiche e quindi senza seguire semplicemente la pura cronologia il percorso della mostra racconta, con un profluvio di autentici capolavori, volti e ritratti colti dalle figure per esempio di Botticelli, Beato Angelico, Mantegna, Bellini, Bramantino, Lippi, Cranach, Pontormo e poi Rubens, Caravaggio, Van Dyck, Rembrandt, Velàzquez, El Greco, Goya, Tiepolo giungendo agli impressionisti da Manet a Monet, da Cézanne e Gouguin a Van Gogh e ai grandi pittori del XX secolo da Munch, Picasso, Matisse e Modigliani fino a Giacometti e Bacon. Opere che compongono un superlativo museo, dedicato all’immagine universale dell’uomo tra sacro e profano. Tra vita quotidiana e celebrazione di sé nella regalità delle corti, tra sentimento religioso e rappresentazione della propria immagine negli autoritratti soprattutto tra Ottocento e Novecento.

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