Politica
28 Gennaio 2013
L’ex senatore aveva parlato di “appartenenza alla massoneria di Diliberto e dell'ex sindaco”

Soffritti e il Pdci perdono causa milionaria contro Nando Rossi

di Marco Zavagli | 2 min

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admin-ajax.phpSi torna a parlare di Roberto Soffritti e cause giudiziarie. Dopo quella già annunciata nei confronti di Lara Comi (l’europarlamentare del Pdl che in diretta tv a Servizio Pubblico ne aveva criticato la candidatura nella lista di Ingroia credendolo imputato in processi non meglio definiti –leggi), ora si ha notizia di un’altra causa – questa volta civile – che però vede soccombere il “Duca rosso”.

L’ex sindaco aveva intentato una richiesta di risarcimento danni milionaria nei confronti dell’ex compagno di partito (prima nel Pci poi nel Pdci), ex collega di giunta (fu suo assessore all’urbanistica nel ’98) ed ex collega in parlamento (il primo alla Camera e il secondo in Senato) Fernando Rossi. Rossi, ai tempi dell’uscita dal Pdci (siamo nel 2007 e l’allora senatore era finito sui rotocalchi politici nazionali per la mancata fiducia al governo), aveva battezzato i comunisti italiani come “partito massone e in metastasi avanzata”. In televisione poi dichiarò di “aver avuto informazioni sulla appartenenza alla massoneria di Diliberto e Soffritti”, come spiega lui stesso oggi a sentenza acquisita.

Una sentenza, quella emessa dal tribunale di Roma, che vede rigettare l’azione per risarcimento danni da due milioni di euro intentata nel 2008 dall’odierno candidato di Rivoluzione Civile sia per conto proprio che in qualità di tesoriere nazionale del Pdci. Il giudice Silvia Albano, oltre a rigettare la domanda risarcitoria, ha condannato gli attori, Soffritti e i comunisti italiani, al pagamento delle spese processuali, liquidate in 12.500 euro, più 2500 per diritti e 10.000 per onorari.

In attesa delle motivazioni, il difensore di Rossi, l’avvocato Renato Bellofiore, si limita a dire che “è stato dimostrato che il mio assistito ha agito in piena e totale correttezza, esercitando semplicemente il diritto di critica, doveroso da parte di un parlamentare che ha ricevuto un mandato dagli elettori”.

“Sentenza tardiva, ma giusta”, aggiunge Rossi, che a questo punto potrebbe a sua volta, come lascia intendere il difensore, agire contro chi l’aveva portato in tribunale. “Un atto che doveva essere evitato – spiega l’avvocato Bellofiore -, visto che Rossi agiva nella cornice della critica politica riconosciuta dall’art. 68 della Costituzione e visto che non ha mai accusato nessuno direttamente. Ecco perché il giudice ha ritenuto le pretese degli attori della causa infondate”.

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