Argenta
6 Marzo 2012
Il marito di Anna Santamaria annuncia appello contro i due medici

“Mia moglie poteva essere ancora viva”

di Marco Zavagli | 3 min

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Argenta. “Assolti dopo mille udienze e mille perizie?. I medici Scelfo e Greco non hanno subito il calvario giudiziario che si vorrebbe far intendere. Il vero calvario per la perdita di un familiare lo stiamo subendo io, mia figlia e tutti gli altri familiari”. Chi scrive è Ivo Taglioni, il marito della signora Anna Maria Santamaria, deceduta il 1° gennaio 2007. Il processo per omicidio colposo a carico dei due medici che non la ricoverarono si è concluso di recente con l’assoluzione (vai all’articolo).

Il marito ha scelto di rompere il proprio silenzio dopo l’articolo di Estense.com, in cui si scriveva come con l’assoluzione, i due medici fossero “usciti a testa alta dal processo”. Quanto alle udienze, il famigliare precisa che “se ne è tenuta una davanti al gup l’8 giugno 2009. Il giudice, ritenendo l’accusa non infondata, ha rinviato a giudizio i due medici”. In dibattimento i dottori si presenteranno poi cinque volte. Quanto alle perizie, invece, “fino all’udienza dell’11 maggio 2011 i dottori Scelfo e Greco non hanno depositato alcuna perizia di parte”. Le uniche che fino ad allora risultavano agli atti erano le due disposte dal pm, “oltre alle osservazioni del consulente delle parti civili su una di queste”.

Taglioni fa capire che il suo legale, l’avvocato Benedetto Bevilacqua del foro di Bologna, è già pronto per l’appello. E questo perché “tutti i periti nominati dalla procura, ben tre, il prof. Giuseppe Fortuni, il dott. Paolo Faccioli e la prof.ssa Paola Tomassetti, hanno dichiarato concordemente nelle loro relazioni che la condotta dei dottori Greco e Scelfo è stata inadeguata e negligente”.

All’udienza dell’11 maggio 2011, inoltre, “tutti i consulenti d’ufficio hanno confermato il contenuto della loro relazione e ribadito le negligenze dei sanitari”. Gli stessi imputati “hanno dimostrato anche in udienza di non conoscere gli effetti fondamentali del glucophage (farmaco di comune utilizzazione) il quale non abbassa la glicemia ma permette solo di non farla alzare. Questa erronea convinzione ha tra l’altro contribuito a falsare anamnesi, diagnosi e terapia”.

Va ricordato che la signora Santamaria si presentò al pronto soccorso dichiarando alla dott.ssa Scelfo di aver assunto 10 glucophage da 1000 (farmaco usato per il controllo della gligemia), un quantitativo eccessivo rispetto alla dosi normali. “Cionostante, mia moglie è stata mandata a casa – riprende Taglioni -. Ella ha continuato a sentirsi male, accusando vomito e dissenteria. Si è quindi recata nuovamente al pronto soccorso”.

Visitata dal dott. Greco, “pure a conoscenza della eccessiva assunzione di glucophage, l’ha rimandata di nuovo a casa, dopo aver somministrato una semplice flebo di acqua e zucchero (palliativo), benché il vomito fosse ancora persistente. La stessa notte mia moglie è morta, dopo aver continuato a stare male e a vomitare”.

Pertanto, ne deduca il marito, “i medici hanno gravemente sbagliato (anche il pubblico ministero ne ha preso atto nelle sue conclusioni). Di più. Il prof. Fortuni ha anche ritenuto l’eccessiva assunzione di glucophage possa aver contribuito alla determinazione della morte di mia moglie, quantomeno come concausa. Pertanto, se i medici avessero tenuto la condotta doverosa mia moglie sarebbe ancora viva, anche perché nessuno ha trovato una causa plausibile alternativa”.

“Quanto all’esito del giudizio penale di primo grado – conclude il marito – è d’obbligo in questi casi dire che bisogna leggere le motivazioni della sentenza per poter esprimere un giudizio. Tuttavia, il dispositivo allo stato non appare in completa sintonia con le risultanze istruttorie e con le più recente giurisprudenza”.

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