Politica
3 Marzo 2012
L’ex ministro ha presentato il suo ultimo libro,‘Ai liberi e forti’

Il manifesto di Sacconi

di Redazione | 4 min

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Valori, tradizione, società. Sono i fondamenti individuati da ‘Ai liberi e forti’, “manifesto” scritto da Maurizio Sacconi – fino a novembre ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel Governo Berlusconi – e presentato ieri pomeriggio alla Camera di Commercio da Luca Cimarelli e Alberto Balboni davanti ad un’ottantina di persone.

Il coordinatore provinciale Pdl ha voluto premettere che “questo è solo uno dei primi appuntamenti culturali del partito, che presto svolgerà i congressi comunali e rinnoverà la classe dirigente”. Poi, spazio a Sacconi e al senatore Balboni, che ha fatto da intervistatore.

La “convinzione che l’azione pubblica debba essere illuminata da un sistema di valori” è dunque uno dei pilastri del testo, “perché la razionalità tecnica non è autosufficiente – ha spiegato l’ex ministro –. C’è stato un salto tecnologico e scientifico negli ultimi decenni, ma, proprio in relazione alle maggiori conoscenze, l’uomo si sente meno sicuro, così come la crisi dei mercati è venuta dalla presunzione di autosufficienza della razionalità, che per mezzo di algoritmi ha sbriciolato all’infinito il nulla”. Le nuove generazioni poi, per le quali “nell’epoca di Internet l’apprendimento informale prevale su quello formale, hanno bisogno di una visione etica che faccia distinguere loro il bene dal male”.

Insomma, “non costruiremo il nostro futuro senza rinnovare l’attitudine al futuro stesso, e questo non sarà possibile senza ancorarlo al cuore forte del popolo” ha continuato Sacconi. Il concetto di tradizione è infatti una delle altre colonne del manifesto, tradizione da cui provengono valori “che non sono indicati da uomini delle elite, ma appartengono al senso comune del popolo e sono, per chi ha fede e per chi non l’ha, rivelati dall’esperienza umana e resistenti ai secoli”.

Da questo punto di vista, ‘Ai liberi e forti’ è dunque un “libro conservatore, perché non esiste modernizzatore cinico o scettico: deve essere invece animato da valori e renderli effettivi nella realtà che cambia”. All’opposto ci sono invece quei politici “così modernizzatori sulla famiglia, l’origine della vita, la demografia, il rapporto tra vita e morte, a cui però non puoi provare a toccare l’articolo 18, quello no!”. Conservatori nei valori, definisce insomma i suoi destinatari l’ex ministro, e modernizzatori negli strumenti che li realizzano.

Proprio di articolo 18 si parla parecchio in queste settimane: “l’Italia ha un sistema del lavoro che coniuga massima flessibilità in entrata e massima rigidità in uscita, come uscirne?” ha chiesto Balboni all’ex ministro del Lavoro.

“L’attuale governo ha tra i suoi compiti – ha risposto Sacconi – quello di favorire la tregua che non abbiamo avuto nei tre anni e mezzo precedenti, utile anche a completare le nostre riforme liberali e solidali: l’ultimo miglio è il più temuto”. Sull’articolo 18 dunque, la convinzione di partenza, “proveniente dalla nostra idea cristiana secondo cui la persona è naturalmente vocata alla socialità”, è che l’impresa sia “una comunità di interessi e valori”. Un esempio sarebbe la Luxottica, “che prevede percorsi educativi per i figli dei dipendenti e pensa anche al loro carrello della spesa con gruppi di acquisto collettivo”, ma ci sono stati esempi “di destra come di sinistra, Olivetti come Marzotto”. Allora, il “superamento dell’articolo 18 va inteso non come uno spostamento dei rapporti di forza, ma come la possibilità di risolvere, pagando, quel rapporto comunitario. Altrimenti, se si rimane guardandosi in cagnesco, la comunità non c’è più”. Sacconi capisce che sul tema possa esserci “ansietà, ma oltre il 90% delle imprese ha meno di 15 dipendenti, e a queste l’articolo 18 non si è mai applicato: vi sembra – si è rivolto ai presenti – che licenzino dalla mattina alla sera?”.

Anche la scuola dovrebbe fare la sua parte in rapporto al mondo del lavoro, con “una vera integrazione tra apprendimento teorico e conoscenza pratica, dopo che i bastardi anni ’70 – aggettivo già usato dall’ex ministro e che suscitò discussioni – hanno separato il primo, pensando a percorsi che non prevedevano l’intelligenza delle mani”.

Parola di nuovo a Balboni, che stuzzica l’interlocutore sul rapporto tra nazione e Stato: “meno Stato e più società, meno regole imposte dall’alto e più contratti” è infatti un altro filo conduttore del manifesto.

“Molte funzioni del bene comune possono essere delegate alla società, singolarmente o collettivamente” ha risposto Sacconi, citando ad esempio la pubblica amministrazione, “che può fare un passo indietro per lasciare spazio all’autocertificazione o alla certificazione di professionisti chiamati ad una maggiore responsabilità”.

Una pubblica amministrazione nella quale deve prevalere “l’antropologia positiva, per cui mi fido fino a prova contraria”. Per capire di cosa si tratti, “monumento di antropologia negativa fu quella norma di Vincenzo Visco – viceministro all’Economia di Prodi – che il nostro governo ha abolito e imponeva una verifica preventiva all’apertura di una partita Iva”. È possibile insomma che qualcuno voglia violare la legge, ma non si può permettere che sia proprio la “patologia” a dettare le leggi.

Certo, in conclusione sarebbe più facile se non fosse che, “mentre siamo il primo partito tra i dipendenti nel privato, non lo siamo – ha alzato gli occhi al cielo Sacconi – nel settore pubblico. Ma lì, è comprensibile che lo sia il Pd”.

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